Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia svelano un quadro complesso e sfaccettato delle relazioni tra il clan Lombardi-Scirpoli-Raduano e Marco Raduano detto “Pallone”, boss di Vieste ed ex latitante. Un’alleanza nata non per puro altruismo, ma come frutto di un calcolo “costi-benefici” da parte di entrambi i gruppi.
Raduano versava una somma mensile di 10mila euro alla consorteria in cambio di favori e collaborazione. Lo racconta la sentenza del processo abbreviato “Omnia Nostra” che ha inflitto l’ergastolo in primo grado a “Pallone”. Un patto suggellato da un incontro a cui Raduano partecipò da solo, in segno di fiducia, insieme ai reggenti del clan in quel periodo, Pasquale “Fic secc” Ricucci e Matteo Lombardi detto “A’ Carpnese”, il primo ucciso nel 2019, il secondo all’ergastolo per l’omicidio Silvestri.
Un clima di diffidenza e sospetti
Dietro la facciata di unione, però, si celava un clima di diffidenza e sospetti. La paura di tradimenti e la consapevolezza di essere sotto costante controllo da parte delle forze dell’ordine inducevano i sodali a utilizzare un linguaggio criptico e allusivo.
Le parole dei collaboratori di giustizia
Le dichiarazioni dei pentiti, come il mattinatese Antonio Quitadamo detto “Baffino” e il viestano Orazio Coda alias “Balboa”, offrono una chiave di lettura preziosa per comprendere le dinamiche interne al clan. La loro testimonianza evidenzia come la diffidenza reciproca fosse un elemento permeante all’interno della consorteria, tanto da indurre i sodali a comunicare in modo circospetto, evitando di menzionare nomi e dettagli specifici per paura di intercettazioni e delazioni.
A questo clima di sospetto si aggiunge il contesto storico di faide e vendette che caratterizza la criminalità organizzata garganica. Un contesto in cui la lealtà è merce rara e il tradimento è sempre dietro l’angolo.
L’ossessione di Pietro La Torre
Pietro La Torre detto “U’ Muntaner”, elemento di rilievo del clan Lombardi-Scirpoli-Raduano, ben consapevole di questa vulnerabilità, preferiva affiliare parenti. Solo nel legame di sangue, infatti, ravvisava una fedeltà incrollabile: “È di sangue il fatto. Allora lo sai perché dicono che qua non esce li pentito, non esce, perché è tutta una famiglia, una famiglia significa di sangue, mio cognato, mio fratello, più fiducia di quello penso che non ce ne sta”.
Un patto infranto e una scia di sangue
Marco Raduano ne è l’esempio lampante. Sentendosi tradito dal gruppo Perna (che faceva capo ai montanari Li Bergolis, rivali dei Lombardi) reo di aver ucciso il suo cognato Giampiero Vescera, Raduano voltò le spalle ai suoi vecchi alleati, passando alla fazione opposta e innescando una sanguinosa campagna di vendetta. “Pallone”, però, temeva che Lombardi e Ricucci, sotto pressione, potessero cedere e collaborare con la giustizia, esponendolo a gravi conseguenze. La sua preoccupazione era ben fondata: “Speriamo che mo’ non se la canti, dai!”, diceva mostrandosi preoccupato per la pesantissima condanna a Lombardi. La morte di Ricucci, di cui pure si diceva dispiaciuto, portò con sé un sospiro di sollievo: “Meh, uno in meno, perché per quanto mi dispiace, però è uno mancante, ancora… o mi fa passare i guai o se la canta”.
Omertà e laconismo: le regole del codice criminale
In questo contesto di diffidenza e paranoia, non c’è spazio per “pubblici proclami” o “comizi” sui crimini efferati. La parola d’ordine è omertà, che si traduce in laconismo e reticenza quando si tratta di delitti eclatanti, come gli omicidi.
Le confidenze tra sodali avvengono in un contesto di estrema riservatezza, lontano da orecchie indiscrete e intercettazioni. La paura di tradimenti e delazioni è palpabile:
Quitadamo: “Quando si trattava di un reato che faceva Lombardi più non si parlava meglio è, perché se lo veniva a sapere facevamo casino. Allora, se un omicidio l’aveva commesso Lombardi non si doveva parlare, non voleva sentire il suo nome in giro”.
Coda: “Per non fare nomi, perché noi non ne facevamo anche se andavamo a parlare in zone disperse, in campagna, in montagna, in qualsiasi tipo di zona, non facevamo mai i nomi specifici della persona perché avevamo sempre il terrore di essere ascoltati, intercettati”.
Un sistema criminale impenetrabile
L’omertà e la diffidenza reciproca rendono la mafia garganica un sistema quasi impenetrabile. Le ricostruzioni dei collaboratori di giustizia, pur se lacunose in alcuni aspetti, offrono uno spaccato inquietante di questa realtà criminale. Un mondo dove la lealtà è merce rara e la vendetta è l’unica legge. Un’organizzazione criminale che si alimenta di diffidenza e omertà, dove la parola d’ordine è “non farsi fregare”.