Mille pagine tonde tonde. Tanto è lunga la sentenza del processo “Omnia Nostra” che si è chiuso qualche mese fa a Bari con il rito abbreviato. In queste ore sono state pubblicate le motivazioni firmate dalla giudice Valenzi riguardo alle condanne inflitte a boss, sodali e colletti bianchi. Al centro della maxi inchiesta di Dda e carabinieri, il clan Lombardi-Scirpoli-Raduano, rivale dei montanari Li Bergolis per il controllo criminale del Gargano.
Tra i condannati spicca Marco Raduano detto “Pallone”, il boss 41enne di Vieste catturato pochi giorni fa in Corsica dopo circa un anno di latitanza. In primo grado, i giudici gli hanno dato l’ergastolo per gli omicidi di Giuseppe Silvestri (esecutore materiale) e Omar Trotta (mandante) e per il tentato omicidio (faceva parte del commando) di Giovanni Caterino, basista della strage di San Marco.
In sentenza sono citati anche alcuni memoriali che Raduano consegnò durante il processo prima di evadere dal carcere di Nuoro calandosi dal muro di cinta con un lenzuolo.
“L’odierna associazione mafiosa annovera tra gli esponenti di rango apicale – si legge – Matteo Lombardi, Francesco Scirpoli, Pietro La Torre e Mario Scarabino“. Tutti ancora sotto processo a Foggia con rito ordinario.
“I collaboratori di giustizia – è scritto in sentenza – hanno messo in luce il movente di numerosi fatti di sangue (anche giudicati in separati procedimenti) perpetrati da alcuni degli odierni imputati”. Secondo gli inquirenti, “il fenomeno mafioso trova oggi una causale ben più complessa del mero controllo dei confini, della punizione dei traditori e/o dello sterminio dei rivali”. Il famoso salto di qualità è dimostrato dalle infiltrazioni nel mondo economico e della pubblica amministrazione, il Comune di Manfredonia venne infatti sciolto per mafia nel 2019, quello di Mattinata nel 2018.
All’interno del procedimento sono confluite anche le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia: Orazio Coda alias “Balboa”, Giovanni Surano “Lupin” o il “Panettiere”, Antonio Quitadamo, Andrea Quitadamo (i fratelli “Baffino”), Antonio “Tarzan” La Selva e Danilo Della Malva detto “U’ Meticcio”.
Prima di questi pentimenti “sulla criminalità dell’area garganica vigeva uno stratificato clima omertoso – è scritto ancora -, che aveva creato una stasi investigativa. È solo grazie alle dichiarazioni dei collaboratori che è stato possibile ricostruire, a posteriori, le dinamiche interne alla criminalità del territorio e ricondurre molti reati a soggetti determinati”.
Stando alle dichiarazioni rese da Coda, ad esempio, interno al gruppo Raduano, era Della Malva il “fiduciario” del boss. “Poteva parlare vicino a noi, parlava; poi si metteva in disparte con Della Malva per parlare di questioni più strette”.
Poi c’è Antonio Quitadamo, per anni uno dei malviventi più spietati di Mattinata. L’uomo, detto “Baffino”, “ha intrapreso – si legge – il percorso di collaborazione con la giustizia a distanza di ben quattro anni dalle manifestazioni di insofferenza verso i sodali“, questione ampiamente trattata da l’Immediato nelle scorse settimane.
“Lui stesso (Quitadamo) aveva presagito, in tempi non sospetti, l’esecuzione di un blitz che avrebbe coinvolto lui e i sodali: ‘Adesso devono fare qualche blitz grosso… Mattinata, Manfredonia e Vieste. Vedi che ci attaccano tutti quanti di nuovo!'”, diceva il pentito. Il clan, in particolare il gruppo di Mattinata, si sarebbe persino servito di un poliziotto per ricevere soffiate su arresti e perquisizioni, una questione emersa nell’ordinanza cautelare e oggi al vaglio del dibattimento che si sta svolgendo a Foggia.
Secondo la sentenza, “questa consorteria mafiosa ha avuto modo di svilupparsi e di resistere all’azione investigativa proprio grazie alla sua impermeabilità e alle cautele adottate dai suoi membri”.
Estorsioni, droga, omicidi, controllo del territorio: il clan non lasciava nulla al caso. Sugli stupefacenti l’associazione faceva capo a La Torre detto “U’ Muntaner”, indicato come “trait d’union tra il sodalizio mafioso e i componenti di un gruppo composto da Pietro Rignanese, Moreno Sciarra, Luciano Caracciolo, Giuseppe Sciarra, Gaetano Vessio e Alexander Thomas Pacillo“.
La “partita” su Vieste
Il clan dominava l’area tra Manfredonia, Macchia e Mattinata ma successivamente si espanse a Vieste grazie all’alleanza con Raduano che bussò a Lombardi e Scirpoli per vendicare la morte del cognato Gianpiero Vescera ucciso nel 2016.
“A Vieste erano saltati gli equilibri tra le dinamiche che caratterizzavano l’operato delle due consorterie antagoniste, a conferma quindi della contrapposizione in atto. ‘Non si capisce più niente – diceva un componente della famiglia Notarangelo -, non si capisce più niente, non si capisce più niente’. ‘Quello (Raduano, ndr) ha promesso mare e monti a tutti, Pallone (mimando il gesto come per indicare l’atto di mangiare, ndr) inc… come i pesci…’. Tale ultima affermazione dimostra inequivocabilmente il pensiero del Notarangelo che riteneva Raduano bramoso nell’assumere il potere assoluto sul territorio”.
I Lombardi così come i Li Bergolis avevano avviato alleanze su Vieste, i primi con il clan Raduano, i secondi, guidati dal boss Enzo Miucci con il gruppo di Girolamo Perna detto “Peppa Pig”, ucciso nel 2019. Dalla sentenza emerge anche la volontà di Miucci, mai concretizzatasi, di eliminare proprio Raduano.
Riguardo agli interessi su Vieste, località che da sempre fa gola soprattutto per il traffico di droga, “si cita, sul punto, l’importantissima espressione di Gentile Pio Francesco – sottolinea la sentenza – il quale, in un riservato colloquio del 2 maggio 2018 con Notarangelo Francesco attinente le dinamiche criminali del loro gruppo che rimandavano al passato e all’attualità, sentenziava che l’uccisione di Mario Luciano Romito (ucciso nella strage di San Marco del 9 agosto 2017, ndr) era la conseguenza dell’annessione dell’articolazione viestana (Gentile Pio Francesco: ‘Io lo sai cosa ho detto a tutti quanti? Da quando, no anche prima di morire pure Mario, ho detto noi i viestani li dobbiamo allontanare. Notarangelo: ‘Io non devi razzolarci proprio, quante volte te lo dico, ma che ce ne dobbiamo fare di questi’. Gentile: ‘Vedi che Mario è morto per Vieste! Ancora pensi per chi è che è morto! Hai visto quante ne ha combinate! È arrivato a Vieste e gli hanno fatto la festa’”.
Mani sull’imprenditoria
Oltre alle classiche estorsioni ai negozianti, il clan controllava il settore ittico, prima fonte economica di Manfredonia. “Il principale settore interessato risulta essere quello ittico – si legge -, nel cui ambito la consorteria è riuscita ad imporsi, grazie alla forza di intimidazione, in regime di monopolio nel territorio di Manfredonia, assoggettando pressoché tutti i pescatori e i commercianti locali. ‘Il mare è nostro e dobbiamo calare le reti, basta’”, diceva La Torre.
“Loro comandavano chi doveva pescare e dove doveva pescare. Avveniva che loro si sceglievano il miglior mare, quello che non gli serviva lo spartivano per gli altri. Il mercato ittico era “spartito tra la Marittica (che smercia i frutti di mare)e la Primo Pesca (grossista di pesce), entrambe società riconducibili alla consorteria. La Marittica Soc. Coop. può considerarsi un’impresa mafiosa in senso stretto poiché gestita direttamente da un discendente del capo, ossia Michele Lombardi, figlio dell’elemento di vertice Matteo”.
E ancora: “Marittica non nasce attraverso la costituzione di un’impresa ex novo ma trae origine dall’acquisizione di un’impresa già avviata, la Markittica Srl a sua volta avviata dal rilevamento di una precedente e storica struttura commerciale”.
Il politico
Tra le persone coinvolte in “Omnia Nostra” fece scalpore il nome di un politico. È stato condannato a un anno e 8 mesi Adriano Carbone, consigliere comunale di maggioranza a Manfredonia, sostenitore del sindaco decaduto Gianni Rotice (oggi il Comune è commissariato, ndr).
Su Carbone, che è anche consulente commercialista, estromesso da Fratelli d’Italia dopo il coinvolgimento nell’inchiesta, si legge: “Nei suoi confronti è stata esclusa la circostanza aggravante di cui all’art 416 bis 1 c.p.. Pertanto, valutati i criteri di cui all’art. 133 c.p., si stima congrua la pena base di anni 2 e mesi 6 di reclusione, leggermente superiore al minimo edittale in considerazione dell’intensità del dolo, manifestata dalla pervicacia con cui si è affannato nell’ideare soluzioni fraudolente in favore di Antonio Zino (uno dei condannati, ndr), che sapeva voler eludere un potenziale sequestro dei suoi beni. Non vi sono poi i presupposti per il riconoscimento delle attenuanti generiche, pur invocate dalla difesa, non ravvisandosi alcun indicatore positivo, diverso dallo stato di incensuratezza, cui ancorarle. La pena così determinata va ridotta per il rito (abbreviato, ndr), per una pena finale pari a anni 1 e mesi 8 di reclusione. La misura della pena in concreto irrogata consente la concessione della sospensione condizionale della pena, dovendosi ritenere pronosticabile, non essendo emersi indici di segno contrario, che il destinatario del presente provvedimento si asterrà per il futuro dal commettere nuovi delitti, anche in virtù dell’effetto deterrente esercitato dalla presente condanna”.
Le frasi delle vittime
Per evidenziare la forza mafiosa del clan, la sentenza ha isolato alcune frasi delle vittime intercettate. “Quelli vengono da dentro le masserie, dalle campagne, quelli come uccidono gli animali uccidono i cristiani (…) non hanno paura di niente… loro sono i padroni”.
“È mafia garganica quindi… quando ti puntano sei morto… quindi me ne devo solo andare. Siccome do fastidio ai mafiosi (…) il paese è in mano alla mafia. È mafia del Gargano. Proprio roba di Monte, capito? O aggregati vari insomma”.
Le condanne
Ricordiamo infine le pene inflitte: ergastolo al capomafia viestano Marco Raduano, 13 anni e 4 mesi a Francesco Notarangelo detto “Natale”, 8 anni a Luciano Caracciolo, un anno e 8 mesi (esclusa l’aggravante del 416 bis) all’ex consigliere comunale di Manfredonia Adriano Carbone, 12 anni a Lorenzo Caterino, 11 anni a Michele D’Ercole, 9 anni ad Alexander Thomas Pacillo, 8 anni a Moreno Sciarra e 9 e 4 mesi a Giuseppe Sciarra, 13 anni a Pietro Rignanese, 4 ad Andrea Quitadamo detto “Baffino junior”, 12 anni e 4 mesi al fratello maggiore Antonio “Baffino” Quitadamo (in continuazione con altri reati precedenti), 11 anni a Danilo Della Malva alias “U’ Meticcio”, 11 anni e 4 mesi a Giuseppe Della Malva, 3 anni e 4 mesi a Giovanni Surano detto “Lupin”, 12 anni e 8 mesi ad Antonio Zino, 11 anni e 4 mesi a Leonardo Ciuffreda. Infine, 10 anni e 8 mesi a Giuseppe Pio Impagnatiello e 4 anni e 8 mesi ad Antonio La Selva detto “Tarzan”.
Altri imputati sono a processo a Foggia con il rito ordinario. Tra questi spiccano i boss Matteo Lombardi che ha già un ergastolo definitivo per l’omicidio del montanaro Giuseppe Silvestri e Francesco Scirpoli, anche lui in cella dopo una condanna della Cassazione per l’assalto ad un portavalori in provincia di Milano.