È di oltre 5mila pagine la richiesta di misure cautelari della Dda di Milano per 153 persone. L’operazione si chiama “Hydra” dal nome del mostro mitologico a più teste e riguarda una possibile “Supermafia” italiana composta dai maggiori esponenti di Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorra. Un “consorzio” per dominare l’Italia e controllare politica, economia, traffico di droga e molto altro ancora. La vicenda ha fatto scalpore circa un mese fa dopo la decisione del giudice Tommaso Perna di rigettare 142 misure cautelari su 153. Sono stati eseguiti soltanto undici arresti per reati minori (armi, droga, ecc.) senza associazione mafiosa. Ma il giudice ha anche disposto sequestri per 225 milioni, presunti ricavi delle società. La procura ha già presentato ricorso al Riesame.
L’Immediato ha potuto visionare le carte, una vera e propria “bibbia” della presunta “nuova” mafia italiana, finora esclusa – ribadiamolo – dalla giustizia lombarda.
Nel mirino della procura per Cosa Nostra, la famiglia palermitana dei Fidanzati ma anche esponenti mafiosi della provincia di Trapani (collegati al Mandamento di Castelvetrano con al vertice Matteo Messina Denaro ormai defunto) come attestato, tra le tante, dalle vicende giudiziarie che coinvolgono Paolo Aurelio Errante Parrino detto “zio Paolo”, la Famiglia Rinzivillo trapiantata a Busto Arsizio e il Gruppo Mazzei di Catania.
Per la ‘Ndrangheta la locale di Legnano-Lonate Pozzolo, alleata e/o collegata alla Locale di Cirò (KR) dominata dalla cosca Farao/Marincola, la cosca Iamonte e la cosca mafiosa dei Romeo “Staccu” operante sul territorio di San Luca.
Per la Camorra, il gruppo Senese rappresentato da Vincenzo Senese, Giancarlo Vestiti e Gioacchino Amico, quest’ultimo finito in manette e considerato dalla procura (ma non dal gip) uno dei vertici del consorzio mafioso.
L’accusa ha documentato una serie di incontri tra le varie organizzazioni e persino pranzi e cene rivelati attraverso un corposo materiale fotografico.
Nelle carte si parla ampiamente di politica e in particolare di Fratelli d’Italia. Il gruppo avrebbe vantato contatti con l’ex assessore regionale Monica Rizzi, con l’ex consigliere comunale Pietro Tatarella, l’ex assessore regionale Mario Mantovani, l’ex vice sindaco di Vigevano Antonello Galiani e persino con la ministra Daniela Santanchè. Tutte vicende ritenute non penalmente rilevanti. Nessuno dei politici è indagato.
L’ex finanziere, i servizi segreti e il riferimento a Foggia
“In data 23.11.2020 – si legge nelle carte –, emergeva la figura dell’ex appartenente alla Guardia di Finanza Raffaele detto “Fefè” Faiella, che Amico e Berducci avrebbero dovuto incontrare, descritto nella circostanza da Amico quale ‘ndranghetista ed ex appartenente alla GdF in contatto con Ugo Rabuffetti di Roma nonché da Berducci quale faccendiere, esperto di pratiche tributarie, in contatto con gli Abilone ed il Gruppo Marin (un mezzo ‘ndranghetista…un ex… Brigadiere della Finanza… soprannominato Fefè – lui era con la Mafia, combinato con la Calabria, lui era in contatto con uno dei capi mafia di…di Milano…era Calabrò…ha fatto 30 anni di carcere…noi lo sappiamo, lui gli dava… gli faceva fare le chiamate dal carcere tramite una guarda carceriera, un po’ di storielle…un bel dossier – un faccendiere… allora lui… aiuta tutti, cioè ha detto…non l’ha detto però frequenta i peggio… – perché lui segue il penale tributario – è amico degli Abilone eh… cioè lui… poi ha scaricato gli Abilone perché si è sentito preso per il culo – la parte interessante è che è prudente nel senso non ha mai voluto conoscere gli amici di Marin… quindi lui parlava con Marin – lui tiene un contatto a Monza con il Luogotenente Rabuffetti che ora è alla Finanza Centrale della Valutaria di Roma… alla Valutaria Centrale di Roma…). Sul finire della conversazione Amico – riportano ancora le carte della procura di Milano – asseriva una conoscenza con un appartenente ai ‘servizi‘ (segreti ndr.) della zona di Foggia tale Vito Fiore (come si chiama quello dei Servizi di… di Foggia… non era Foggia dov’è? Chi era? – Vito Fiore? – eh Vito Fiore… ci devi parlare tu per una cosa lì sul… sul Foggiano… che mi è arrivato un messaggio poco fa… ma lui è proprio lì lì o gira?)”. Non è dato sapere altro sui presunti interessi nel Foggiano. Le carte non approfondiscono questa vicenda e nessuna delle persone citate nelle intercettazioni risulta indagata.
I tentacoli del “consorzio”
La Procura di Milano, Direzione Distrettuale Antimafia ha parlato di un “sistema mafioso lombardo estremamente pericoloso per le numerosissime e tradizionali condotte criminose di cui ai vari capi di imputazione, indubbiamente capace di alterare la libera concorrenza ed incidere così sul libero mercato”.
Un pericolo contrassegnato da una “imponente rete di società, il costante flusso di ingenti capitali illeciti, le incessanti operazioni finanziarie illecite, il drenaggio indebito di fondi pubblici, il reinvestimento in settori leciti e nevralgici dell’economia nazionale – anche attraverso una serie di soggetti compiacenti e/o complici estranei alla organizzazione mafiosa ma perfettamente consapevoli di apportare ad essa il proprio contributo personale e/o professionale”. Insomma, un “consorzio costituito da più componenti mafiose”.
Nelle carte le rivelazioni del pentito pugliese Annacondia
La ‘Ndrangheta una “grande mamma”
Riferimenti anche alla Puglia e al boss tranese Salvatore Annacondia detto “Manomozza”, colui che ribattezzò Giosuè Rizzi il “papa di Foggia”. Ecco cosa scrive ancora la procura lombarda: “Uno dei più importanti collaboratori di giustizia sentiti nel processo Wall Street, è stato Salvatore Annacondia, al vertice a partire dagli anni ’80 di una organizzazione tra le più potenti che esistevano nel nord barese che operava a Trani e provincia collegata ad altri gruppi. Ha chiarito che Franco Coco Trovato (boss calabrese vicino al capomafia foggiano, Roberto Sinesi, ndr) era molto legato a Jimmi Miano che operava a Milano ed ha aggiunto che non vi era gruppo in Italia che non avesse legami con i calabresi. La ‘Ndrangheta calabrese era definita da Annacondia come una ‘grande mamma’ che abbracciava tutti i gruppi che operavano sia in Italia che all’estero ed era la più potente al mondo”.
“Il collaboratore Antonino Fiume ha offerto un contributo determinante sull’organigramma della potente cosca dei De Stefano ed in generale sui rapporti di forza all’interno della ‘Ndrangheta unitariamente considerata”. Il pentito avrebbe parlato anche delle “riunioni avvenute in territorio calabrese in cui si discusse della proposta stragista di Cosa Nostra”, ma avrebbe evidenziato che altri incontri sarebbero stati organizzati in Lombardia dove si costituì una specie di Consorzio già tra il 1986 ed il 1987, ossia un organismo riservato che esercitava “un potere, era il potere assoluto che dominava su tutti, perché all’interno c’era ‘Ndrangheta, cosa nostra, camorra e sacra corona unita, una sorta di ‘federazione’ che aveva il controllo sul contrabbando delle sigarette e sul traffico della sostanza stupefacente”.

Un bracciale “per riconoscersi”
“Fiume – si legge ancora – ha esplicitato al riguardo che questo consorzio aveva il monopolio di tutto lo stupefacente che girava in Italia, lo dovevano comprare solo ed esclusivamente da loro, venderlo come volevano, però dovevano comprarlo solo dal consorzio tutti gli affiliati. Chi trasgrediva, veniva ucciso. Determinati omicidi e determinate cose venivano scelti solo dai capi del consorzio, che per riconoscersi… utilizzavano… avevano tutti lo stesso bracciale, che altro non era che ‘un bracciale composto da fili di elefanti, che rappresentava Catania, coso… un lingotto d’Oro tatuato della ‘Ndrangheta, e adesso non mi ricordo bene, però il capo del consorzio non aveva il bracciale, aveva il girocollo, che era fatto allo stesso modo, che ce l’aveva Antonio Papalia, che in un momento storico, che non c’era, glielo aveva lasciato
pure a Giuseppe De Stefano. E io gli ho detto: ‘Questo coso restituirglielo’. Cioè, era un rito, come dire, se li mettevano sul tavolo, c’era qualcuno delegato del consorzio, poteva parlare solo se aveva questo bracciale o il girocollo’. Al vertice di tale organismo, anche Fiume ha posto Antonio Papalia il quale ‘col triumvirato della Jonica, era stato messo a Milano, e sulla Lombardia era lui che controllava tutto, però erano in buoni rapporti con tutte le altre organizzazioni, lui era il punto di riferimento’, mentre Franco Coco Trovato (consuocero di Carmine De Stefano) era un gradino sotto nel senso che l’ultima parola spettava a Papalia, chiarendo che insieme erano il vertice della componente ‘ndranghetistica che era prevalente nel Consorzio di cui facevano parte, tra gli altri: Gimmi Miano e Turi Cappello (i quali erano ‘dentro proprio come se fossero calabresi, anche se siciliani’), Pepè Flachi, Annacondia della Puglia che sapeva essere chiamato ‘manuzza’, gli Arena di isola Capo Rizzuto, i Ficarelli (specificando Vincenzo Ficara), Mico (Domenico) Tegano che però non presenziava su Milano, i Latella con Giovanni Puntorieri, Mico Paviglianiti che aveva un ruolo importante, Schettini, Salvatore Pace (un riservato di Antonio Papalia), Vittorio Foschini, e Luigi Mancuso“.
Da Riina all’omicidio del figlio di Cutolo
“Fiume ha raccontato delle fibrillazioni all’interno di Cosa nostra catanese nei primi anni ’90 per cui i Santapaola volevano uccidere Jimmy Miano, ma che alla fine Nitto Santapaola aveva mandato a dire a Totò Riina ‘Ditegli a zio Totò che se vuole io gli lascio la tavola apparecchiata’, perché aveva capito che lo volevano scalzare da Catania e mettere Mazzei, precisando che la sua fonte di conoscenza era Carmine De Stefano, che insieme al fratello Giuseppe aveva dal Consorzio un fisso di venti milioni. Ha dichiarato che molte riunioni del Consorzio avvenivano a Monza dove c’era una specie di albergo, a Limbiate che era di proprietà di un amico di Antonio Papalia, altre avvenivano presso un autolavaggio che era di un parente di Pepè Flachi e altre ancora a Olginate a casa dell’amante di Totò Schettini”.
Indizi sull’esistenza di un “consorzio” già negli anni ’80
E ancora: “In seno al Consorzio si decidevano omicidi, tra cui quello del figlio del boss Raffaele Cutolo (come conferma il collaboratore Pace che commise quell’omicidio) e della guardia carceraria Umberto Mormile che era stato commesso da Totò Schettini per decisione del ‘consorzio’. Fiume, riferendosi all’omicidio Mormile, ha riferito della rabbia di Coco Trovato perché era stata lasciata l’arma sul posto, dichiarando che i servizi segreti erano certamente i mandanti di questo omicidio e che ‘il consorzio, all’interno delle carceri, avevano stabilito che si doveva pentire tutto il gruppo, gli avevano mandato i servizi a dire questa cosa qua. Poi, ad un certo punto, avevano fatto finta di collaborare, e scagionando l’uno e l’altro”.
Secondo la procura lombarda, “sulla base delle dichiarazioni dei collaboratori si può quindi affermare che già a partire dagli anni ’80 in Lombardia erano stati avviati tra le varie organizzazioni criminali intensi rapporti di collaborazione che avevano portato alla commissione di traffici illeciti di varia natura soprattutto in materia di droga. È emersa in particolare l’esistenza di una stretta alleanza fra le famiglie di ‘Ndrangheta dei Papalia e di Franco Coco Trovato, che pur operando in Lombardia non avevano mai interrotto i contatti con le cosche operanti nel territorio di origine, con la Camorra, i catanesi di Jimmi Miano, i pugliesi di Annacondia, finalizzata essenzialmente ad operare nell’ambito del settore del traffico degli stupefacenti e come in tale contesto la ‘Ndrangheta fosse considerata come una sorta di ‘grande mamma’”.
Il denaro del “consorzio”
“In più di un’occasione, gli odierni indagati, nel riferirsi al sistema mafioso lombardo di cui fanno parte, utilizzano analogamente il termine ‘consorzio’: l’11 settembre 2020, Massimo Rosi, della Locale di ‘ndrangheta di Legnano-Lonate Pozzolo, parla con i propri familiari di essere in possesso di denaro proveniente dal ‘consorzio di Gioacchino (Amico, ndr)…omissis… E poi io oggi alle tre dovrei andare a prendere altri diecimila (10.000) euro così, male che vada vuoi farlo già tu.. sei capace a usare la macchinetta del sotto… omissis… E c’è dentro la borsa termina, dentro la borsa termica c’è dentro il sacchetto con tutti i soldi… omissis… E dobbiamo metterli sotto vuoto così dopo li metto via li nascondo, dove devo nasconderli…'”.
Poi “l’8 settembre 2020 negli uffici della Servizi Integrati di Daiargo, venivano trattati diversi argomenti di assoluto interesse, in cui Amico, tra l’altro, afferma di aver autorizzato l’utilizzo di 50 milioni di euro di un non meglio specificato consorzio e della circostanza che Giuseppe Fidanzati ne avesse condiviso l’iniziativa (‘i 50 milioni di euro del consorzio, io, li ho autorizzati. Io’… ‘e te lo faccio dire da cristiani come te… E ti faccio parlare da Ninni (ndr Giuseppe Fidanzati) o da Nino (ndr Antonino Galioto) (inc.) no, lascia stare che è parente con me'”.
“Abbiamo costruito un impero”
“Il 30 settembre 2020 parlando di Giancarlo Vestiti con Daniela Sangalli, Amico precisa che il ‘consorzio’ versa 1600 euro per il suo mantenimento e aggiunge che lui sta provvedendo anche al pagamento del legale’… ‘…1600 euro gli danno al mese, dal consorzio…'”.
Infine, “il 5 marzo 2021 nel corso della conversazione tra Emanuele Gregorini e Giuseppe Castiglia, il primo riferisce di essere in Lombardia in qualità di rappresentante del gruppo perché il giorno seguente dovrà recarsi a Milano per verificare questioni legate al ‘consorzio’: ‘perché devo andare a Milano a vedere il consorzio…’. L’ulteriore conferma della unitarietà del sistema mafioso lombardo e della stabilità del vincolo associativo che lo caratterizza – scrive la procura – si desume dalla circostanza che le tre componenti mafiose si siano fatte ‘autorizzare’ – dalle rispettive ‘case madri – a parteciparvi, come emerge chiaramente dalle loro stesse inequivocabili parole: Amico: ‘…omissis …abbiamo costruito un impero e ci siamo fatti autorizzare tutto da Milano …(incomprensibile) …passando dalla Calabria da Napoli ovunque… Napoli c’ho avuto a che fare io … omissis'”.