Giovani anestesisti, gastroenterologi in odor di direzione e specializzandi. Continua la fuga dei medici dal Policlinico “Riuniti” di Foggia. Destinazione: il privato accreditato o la libera professione, per lavorare a “gettone”.
Alla base del fenomeno, a detta dei professionisti, ci sono sì ragioni economiche, ma c’è soprattutto il convincimento che “non si può più lavorare in aziende che non riescono a garantire condizioni di tranquillità professionale, elemento basilare per curare al meglio i pazienti”. Il caso degli anestesisti, sollevato qualche giorno fa dal sindacato dei medici, è solo la punta dell’iceberg.
“Il trend sarà in ascesa, e non c’entra Dubai – spiega a l’Immediato un giovane medico che ha deciso di lasciare il pubblico per il privato -, ormai le promesse che ci sono state fatte negli anni sono state tutte disattese. Ci siamo sobbarcati turni estenuanti, senza un giusto riconoscimento economico, abbiamo sacrificato anche la vita privata”. Poi aggiunge: “Ci ho pensato molto, ma adesso finalmente potrò gestire la mia vita con maggiore serenità, ritagliandomi il giusto tempo per gli affetti e lavorando con maggiore serenità. Questo chiaramente è un vantaggio per la qualità della vita, per la professione, e soprattutto per i pazienti: un medico stanco e insoddisfatto non può curare al meglio”.
Muscatiello: “Finalmente potrò godermi un po’ di ferie prima di iniziare con entusiasmo un nuovo percorso professionale”
Uno degli addii recenti più clamorosi è quello di Nicola Muscatiello. Ieri è stato il suo ultimo giorno nelle corsie di viale Pinto. Qualche tempo fa è stato ad un passo dalla direzione della struttura complessa, ora invece ha formalizzato le dimissioni. “Finalmente potrò godermi un po’ di ferie prima di iniziare con entusiasmo un nuovo percorso professionale. E non è una questione di denaro…”. Quando gli chiediamo quali siano allora le reali motivazioni, ci risponde: “In questi anni ho sacrificato tutto, a cominciare dalla mia famiglia, per rispondere al meglio a quella che era una missione. Negli ultimi anni, però, c’è stata una inversione di tendenza nel sistema sanitario, il pubblico non riesce ad essere competitivo come il privato. Faccio un esempio: quando facevo una richiesta per una macchina utile alla diagnostica in reparto, nella migliore delle ipotesi passavano due anni prima di riceverla, nel privato arriva subito. Questo solo per dire che per curare serve reattività e una organizzazione adeguata, altrimenti non si riescono a dare le risposte migliori ai bisogni di salute dei cittadini”.
Sul rischio di mandare ulteriormente in tilt il sistema, con le liste d’attesa sempre più lunghe, replica: “Le liste d’attesa sono un falso problema. Se ci chiedono di recuperare le vecchie richieste di prestazioni, dobbiamo per forza rallentare l’attività ordinaria in ospedale. A smaltirle invece dovrebbe essere l’Asl, non il Policlinico. Certo, a pesare c’è la carenza ormai atavica di camici bianchi in alcuni reparti, ma questi sono temi che riguardano le politiche nazionali e regionali di programmazione”.
Qualche tempo fa il privato accreditato reclutava i medici in pensione, i quali utilizzavano le cliniche per le esigenze dell’attività di libera professione. Adesso la concorrenza è diretta
Una cosa è certa. Fino a qualche tempo fa il privato accreditato reclutava i medici in pensione, i quali utilizzavano le cliniche per le esigenze dell’attività di libera professione. Adesso la concorrenza è diretta, i medici diventano dipendenti degli ospedali privati e arrivano nel pieno della carriera. A complicare lo scenario c’è l’aumento di richieste di medici a gettone. In provincia di Foggia l’Asl sta reclutando diverse figure che provengono dalla Bat. Abbiamo chiesto all’azienda guidata da Antonio Nigri un report sul numero di specialisti impegnati nei reparti, per comprendere la portata del fenomeno e l’impegno di spesa complessivo per questo tipo di rapporti. Non ci è mai arrivato, o forse non è mai stato prodotto. Eppure, quella che è stata contrassegnata come una pratica sbagliata e “pericolosa” dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, può costare fino a 1200 euro al giorno – soldi pubblici – per un turno di lavoro. Cifre enormi che non risolvono il problema della carenza di medici. E, soprattutto, insostenibili per un sistema sanitario profondamente segnato dalla stagione dei tagli progressivi ai fondi iniziata nel lontano 2011. Per non parlare della Puglia, costretta a rastrellare risorse per coprire – con bilancio proprio – il “buco” in bilancio. Con lo spettro del commissariamento sempre alle porte.
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