Negli ultimi anni il fenomeno del mobbing nei luoghi di lavoro è divenuto sempre più dilagante, assumendo le più svariate sfaccettature e dando luogo a disparate casistiche. Una delle varianti più ricorrenti di mobbing è quella denominata straining (dall’inglese to strain, ossia stringere, mettere sotto pressione, etc.), costituente una condotta caratterizzata non già da una serie di atti persecutori nei confronti del dipendente, bensì da un’unica azione ostile o stressante nei confronti di quest’ultimo, posta in essere normalmente dal datore di lavoro o anche da un superiore (lo strainer o boss), i cui effetti negativi si protraggono costantemente nel tempo.
Proprio in tale ultima categoria rientra il singolare caso verificatosi in un paesino garganico ai danni del direttore del locale ufficio postale, che è stato improvvisamente trasferito dai suoi superiori dopo molti anni di servizio presso un altro paese distante circa 50 chilometri. A sostegno di tale ordine di trasferimento sono state addotte non meglio specificate “esigenze tecnico-organizzative e produttive aziendali”. Il dipendente ha quindi obbedito all’ordine dei superiori e si è recato presso la nuova sede di servizio nella quale tuttavia era già coperto il posto di direttore di filiale, per cui si è venuto a trovare in una posizione di soprannumerarietà all’interno dell’ufficio e quindi lasciato in uno stato di totale inattività lavorativa, privo di una stanza, oltre che di una scrivania e di una sedia, costretto a bivaccare in piedi per l’intero orario di lavoro, venendo insomma completamente dimenticato dal suo stesso datore di lavoro.
Solo a distanza di ben otto anni, a seguito delle reiterate rimostranze del dipendente nei confronti dei superiori e dell’intervento del suo legale di fiducia (l’avvocato Domenico Fasanella), Poste Italiane ha deciso finalmente di reintegrarlo nell’esercizio delle funzioni direttive di sua titolarità assegnandolo presso l’ufficio postale di un altro vicino paese, sempre dell’area garganica.
Nel corso dei lunghi anni trascorsi in uno stato di totale inoperosità lavorativa il dipendente in questione è caduto in uno stato di profonda depressione, avendo drasticamente perso sia l’autostima che la eterostima all’interno ed all’esterno del contesto lavorativo. Ne sono derivati come inevitabile conseguenza un senso di totale inutilità e di frustrazione che ha permeato il suo quotidiano vissuto, oltre che la mortificazione di fronte ai suoi colleghi, al punto da chiudersi in sé stesso e manifestare addirittura propositi suicidiari; lo stesso, dopo essersi sottoposto ad urgenti visite psichiatriche, è stato giudicato affetto da una “sindrome ansioso-depressiva con somatizzazioni cardiache, attacchi di panico ed insonnia”, con la prescrizione di uno specifico trattamento farmacologico per le necessarie cure del caso a base di ansiolitici, ipnoinducenti ed antidepressivi.
Da qui il ricorso proposto dal malcapitato dipendente dinanzi al Giudice del Lavoro del Tribunale di Foggia, con il patrocinio dell’avvocato Domenico Fasanella, allo scopo di conseguire il risarcimento di tutti i danni patiti per effetto di tale prolungata condizione lavorativa di grave disagio, sia sotto il profilo psichico che esistenziale.
Con sentenza n. 2997/2023 del 17.10.2023 il Giudice del Lavoro del Tribunale di Foggia (Severino Antonucci) ha accolto le doglianze del dipendente riconoscendo in suo favore un cospicuo risarcimento dei danni, posti a carico dell’Ente Poste a titolo di danno morale ed esistenziale, anche a prescindere dall’ulteriore esistenza di un concomitante danno di natura biologica; a tal fine il tribunale dauno ha tenuto nella debita considerazione la lunga durata della dequalificazione professionale, la procurata lesione della dignità del lavoratore, la privazione degli strumenti di lavoro nota anche agli altri soggetti dell’ambiente di lavoro, la frustrazione di ben precisate e ragionevoli aspettative di progressione di carriera, nonché i comprovati effetti negativi sulle abitudini di vita del soggetto. Nel corso del giudizio erano state anche raccolte le testimonianze di diversi colleghi di lavoro che hanno concordemente riferito come fosse ben noto a tutti lo stato di disagio e di totale mortificazione del citato dipendente, e come gli stessi colleghi tentassero di confortarlo nel corso delle sue lunghe giornate (non) lavorative, incoraggiandolo ad avere fiducia nella giustizia e in un imminente miglioramento della sua condizione.
“Ritengo che la condotta posta in essere dal datore di lavoro, volta a lasciare il proprio dipendente in uno stato di totale inattività lavorativa, emarginandolo dal contesto organizzativo e produttivo aziendale, costituisca una delle peggiori sofferenze che possa essere inflitta ad un lavoratore, da non augurare a nessuno”, precisa l’avvocato Fasanella; “nel caso di specie il dipendente in questione – prosegue il legale – percorreva ogni giorno circa 100 chilometri per recarsi presso la sede di servizio e fare ritorno presso il suo comune di residenza, trascorrendo tuttavia l’intera giornata senza svolgere alcuna mansione; tale situazione di totale inattività lavorativa – aggiunge l’avvocato Fasanella – era ben nota al datore di lavoro (Poste Italiane), che tuttavia ha lasciato che essa si protraesse per un lungo ed interminabile arco di tempo (ben otto anni), senza in alcun modo preoccuparsi delle ripercussioni che tale mortificante condizione finiva inevitabilmente per determinare sull’equilibrio psico-fisico e socio-emotivo del lavoratore, sottoposto a una dura prova, in violazione dei fondamentali precetti costituzionali di cui agli artt. 2, 4 e 35 Cost., oltre che delle norme di cui agli artt. 2103 e 2087 del codice civile, che tutelano il diritto del lavoratore a svolgere le mansioni del proprio profilo professionale di appartenenza ed a realizzare in modo pieno, completo e gratificante la sua personalità sul luogo di lavoro. Tale sentenza – conclude il legale – non cancellerà le sofferenze patite dal direttore ma costituisce quantomeno una equa compensazione rispetto all’ingiustizia subita.
Oggi lo sfortunato direttore è stato finalmente reintegrato nelle legittime funzioni di sua spettanza presso l’ufficio postale di un paese vicino rispetto a quello di sua residenza; resterà purtroppo il brutto ricordo di tale usurante esperienza, incredibilmente provocata dall’Ente datoriale e protrattasi per lunghi ed interminabili otto anni, come tale destinata a lasciare indelebili strascichi nella sua psiche.