Mafia, vendette e criptofonini. Nella lunga ordinanza cautelare che ha portato all’arresto di Andrea Gaeta, 52enne di Orta Nova e Nicola Valletta, 37enne foggiano emerge il piano per vendicare la morte di Rodolfo Bruno, cassiere della “Società” ucciso il 15 novembre 2018. Bruno era uomo di fiducia del clan Moretti-Pellegrino-Lanza, egemone nelle dinamiche criminali della città. Per vendicarlo, i Moretti avevano puntato alcuni rivali, in particolare il gruppo Frascolla-Palumbo, costola del clan Sinesi-Francavilla. Nel mirino, oltre ai fratelli Antonello e Gioacchino Frascolla, erano finiti anche i pregiudicati Alessio Di Bari e Ciro Stanchi detto “Big Jim”. Per il tentato omicidio di questi ultimi due, sono stati arrestati nei giorni scorsi proprio Gaeta e Valletta, ritenuti mandante ed esecutore materiale di un agguato mafioso.
Il fatto risale al 30 settembre 2020 in viale Europa. Mentre erano a bordo di una Panda grigia, Di Bari e Stanchi vennero affiancati da un motorino con a bordo due persone che esplosero colpi d’arma da fuoco. “Guidava mio cognato Di Bari che sollecitato da me ha accelerato ed è scappato. È passato anche davanti alla Questura ma comunque lo scooterone ha desistito da inseguirci”, ha poi spiegato Stanchi agli inquirenti.
Nelle carte si legge che “gli arrestati sono pregiudicati gravemente indiziati di aver perpetrato una serie di estorsioni al tessuto imprenditoriale locale, facendone confluire i profitti in una ‘cassa comune’ utilizzata poi per l’assolvimento della duplice funzione di serbatoio di denaro contante con cui provvedere all’assistenza ai sodali detenuti e le loro famiglie e di finanziare le varie attività illecite intraprese dalla ‘Società Foggiana’“.
Anche Alessio Di Bari venne ascoltato: “Lavoro in una concessionaria d’auto. Raffaele Tolonese (uno dei boss foggiani storici, ndr) è lo zio di mia moglie. Quel giorno feci un giro con Ciro Stanchi ma senza fermarci in nessun posto in particolare”. Durante l’interrogatorio, l’uomo negò l’attentato: “È stato sparato in macchina mentre si trovava con Stanchi?” “No” “Ha timori per la sua vita?” “No”. “Lei vuole essere protetto dalle forze di polizia?” “No”. “Lei vuole collaborare con la giustizia?” “No”.
Come detto, Stanchi ammise invece di essere sfuggito all’agguato ma aggiunse: “Sono un semplice ladro e non appartengo alla criminalità organizzata. Nonostante le mie parentele non appartengo ad alcun gruppo criminale”.
Importanti le dichiarazioni del pentito, ex morettiano, Carlo Verderosa che ha confermato la volontà dei Moretti e dei Trisciuoglio, alleati tra loro, di vendicare Rodolfo Bruno. Tra gli obiettivi anche Alessandro Lanza detto “Bussolotto”, uno degli uomini di vertice dei Sinesi-Francavilla, suicidatosi in carcere nel 2021. Il pentito: “Trisciuoglio mi disse: ‘Dì a Nico Valletta che si preparasse prima del 10 che scendono dalla montagna’ per fare l’omicidio di Alessandro Lanza. Per montagna intendeva i garganici, amici suoi di Monte Sant’Angelo, Mattinata… questi sono amici…”
Ma nel mirino c’era soprattutto il gruppo “Frascolla-Palumbo”, costola dei Sinesi-Francavilla, ritenuto responsabile dell’omicidio di Bruno. Stando alle carte, fu il capomafia Pasquale Moretti in persona, figlio del Mammasantissima Rocco “il porco”, a spingere per la vendetta. Moretti, intercettato mentre era ai domiciliari, “riferiva a suo cugino (acquisito, ndr) Valletta – si legge ancora nell’ordinanza – che doveva assassinare una persona, sparandola. Dalla descrizione che i due facevano del posto, gli investigatori intuivano che si trattava di un luogo nelle adiacenze del bar 4ever (ex bar H24 di via San Severo) all’epoca gestito dai fratelli Frascolla”. Di vendetta, il capoclan parlò anche con Savino Ariostini, altro noto pregiudicato ospitato mentre si trovava ai domiciliari in un’abitazione di Orta Nova del cognato Gaeta.
La preoccupazione del clan era essenzialmente una, ovvero che i rivali potessero acquisire il predominio del territorio attraverso alcuni agguati e soprattutto alla luce della detenzione del super boss Rocco Moretti.
Agguati e droga via chat
L’organizzazione degli omicidi e il narcotraffico venivano gestiti – sempre stando alle carte dell’inchiesta – tramite “una chat crittografata su criptofonini ovvero smartphone – si legge – modificati anti intercettazione. Si tratta di dispositivi che utilizzano software di crittografia per proteggere tutti i sistemi di comunicazione. L’abbonamento annuale al servizio offerto può rivelarsi particolarmente costoso. Il sistema, però, è stato recentemente violato da Europol e tale attività ha consentito centinaia di arresti”.

I principali intercettati erano Andrea Gaeta, cognato di Moretti, Valletta, cugino acquisito del boss e lo stesso capomafia. In una chat tra Moretti e Valletta quest’ultimo “riferì di aver visto Bussolotto ovvero Alessandro Lanza, suicidatosi in carcere il 17 settembre 2021. Valletta riferì dei timori relativi ad un possibile attentato nei suoi confronti da parte dell’esponente rivale: ‘Mi marca quel figlio di’. A tal fine affermò: ‘Ce lo dobbiamo risolvere questo problema’, frase interpretabile come un input al proprio vertice di organizzare un’azione omicidiaria nei confronti di Lanza. A tale proposta Moretti fece notare al suo sodale la difficoltà di organizzare un’azione delittuosa per le limitazioni legate alla pandemia da coronavirus (‘Se non si toglie sto virus qui non possiamo fare niente’). Ad aprile 2020, 5 mesi prima dell’agguato in viale Europa, il boss avrebbe palesato propositi omicidiari anche nei confronti dello stesso Stanchi: ‘Se non c’era il corona lo avevo già ucciso’“.
Nonostante intercettazioni e chat, l’accusa non ha potuto chiedere l’arresto anche per Moretti soprattutto per gli scarsi indizi in merito al tentato omicidio di Di Bari e Stanchi: “Non essendo stato dimostrato, sulla base delle risultanze investigative in atti, il consenso, anche espresso in forma tacita, di Moretti all’esecuzione del piano delittuoso, non è possibile avanzare nei suoi confronti alcuna richiesta“.
Si è invece proceduto all’arresto di Andrea Gaeta, indicato dagli inquirenti come “appartenente al clan Gaeta di Orta Nova con i fratelli Francesco e Davide conosciuti col soprannome ‘Spaccapallin’, costola autonoma del sodalizio mafioso armato ‘Società Foggiana’. È coniugato con la sorella di Pasquale Moretti”. Sia Gaeta che Valletta sarebbero stati incastrati da una mole imponente di indizi e captazioni. Tra queste anche le intercettazioni tra il boss Federico Trisciuoglio, morto pochi mesi fa dopo una lunga malattia e sua moglie. Trisciuoglio avrebbe fatto riferimento proprio ai due come presunti uomini di azione del clan per vendicare Bruno.
Ma soprattutto c’è un’intercettazione risalente al giorno dell’agguato in viale Europa a complicare la posizione degli arrestati. “Gaeta contattò Valletta e gli addebitò di essere la causa del fallito agguato – riporta ancora l’ordinanza -. In particolare, rimproverando quest’ultimo sulle modalità di esecuzione dell’azione omicidiaria non andata a buon fine, nonché riferendo la frase ‘Per non sentire a me’, Gaeta dimostrò, secondo la prospettazione accusatoria, una piena compartecipazione nell’organizzazione dell’azione delittuosa. Inoltre, riferendo la frase ‘Quello è un mostro a guidare. Vatin va’, Gaeta canzonò Valletta sulla scelta dell’autista, evidentemente in quanto gli era stata assicurata la bravura dello stesso alla guida. E infatti, a suggellare la piena consapevolezza dei dettagli dell’azione delittuosa e il pieno coinvolgimento, proseguì affermando: ‘Che sei un mongoloide e io sento a te’, facendo anche riferimento all’inceppamento dell’arma (‘mongoloide, le cose si incipavano’)”. (In alto, la Questura di Foggia; a sinistra, Pasquale Moretti; a destra, Andrea Gaeta e Nicola Valletta)
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