Una protesi peniena di ultima generazione è stata impiantata per la prima volta in Italia al Policlinico “Riuniti” di Foggia. La “Boston CX700 OTL” è capace di far recuperare la funzione erettile ai pazienti che hanno avuto problemi correlati ad importanti patologie, come il cancro alla prostata o al colon-retto. “La tecnologia avanza per migliorare la soddisfazione dei nostri pazienti – ha commentato il professor Carlo Bettocchi, urologo del policlinico -, Foggia è all’avanguardia grazie alla lungimiranza del professor Giuseppe Carrieri e del direttore generale Giuseppe Pasqualone, che ha deciso di investire su un Drg ancora poco remunerativo per l’ospedale, ma che offre importanti prospettive, visto il trend in crescita dei problemi funzionali correlati ad alcune neoplasie”, commenta il presidente della società europea di Andrologia.
La novità rilevante della nuova protesi riguarda i tubi di connessione tra i cilindri e la pompa, fattore che consente manovre più agevoli per l’impiantatore e “migliori risultati per il paziente”. “L’intervento è l’ultimo stadio per chi non risponde ai farmaci – chiosa Bettocchi -, con questa nuova protesi riusciamo a migliorare di molto la funzionalità del pene, sia in fase di erezione che di mantenimento della rigidità. Chiaramente rimane inalterata la sensibilità e l’eiaculazione, così come tutte le sensazioni di piacere del rapporto”.
Dopo l’intervento c’è una fase di follow up nemmeno troppo lunga: circa un mese con il divieto di avere rapporti sessuali e controlli nell’arco del primo anno. Nei primi 30 giorni post intervento è prevista una fase di apprendimento attraverso le istruzioni di utilizzo (indicazioni per l’attivazione della pompa e per lo svuotamento). Dopo un periodo da tre a sei settimane, il medico può dare istruzioni al paziente perché cominci a operare il dispositivo per la prima volta.
Il paradosso delle protesi non rimborsabili
Negli ultimi anni è in corso una vera e propria battaglia per l’inserimento della protesi peniena tra quelle rimborsabili dal Sistema sanitario nazionale. Una “discriminazione” se si pensa che gli interventi per il tumore al seno nelle Breast Unit sono completamente coperti, mentre nel caso di tumori alla prostata alcuni elementi decisivi sono a carico del paziente. Peraltro, la riuscita del percorso terapeutico dispiega effetti benefici anche per la donna e per l’equilibrio della coppia.
“È paradossale – afferma Bettocchi in una analisi ospitata dal Sole24Ore -, il tumore alla prostata riguarda migliaia di uomini italiani e ha a che fare con il diritto alla salute, i servizi previsti dalla Sanità Pubblica. Le differenze – non più accettabili – nei trattamenti oncologici per le pazienti donne e i pazienti-uomini, nonostante i numeri e le dimensioni del problema impongano un deciso cambio di passo. Il tumore alla prostata, infatti, è una patologia che ogni anno viene diagnosticata in Italia a oltre 36.000 uomini, con un numero crescente di giovani, 7.000 decessi l’anno e che comporta, per circa 20.000 pazienti, un intervento di prostatectomia, cioè l’asportazione chirurgica del tumore stesso. Quindi, un ‘nemico n. 1’ da combattere senza sosta. La buona notizia è che, se diagnosticati per tempo e trattati con terapie idonee, una parte rilevante dei tumori regredisce, consentendo sopravvivenza e vita anche per decenni.
“Diversamente dalle donne che, invece, hanno conquistato nel tempo diritti inalienabili e dopo una mastectomia – cioè l’asportazione della mammella per un tumore maligno – affrontano la ‘ricostruzione’ del seno trovando nelle Breast Units sostegno, tutele e procedure consolidate – aggiunge -. La più importante delle quali è che questi interventi sono a carico del Servizio sanitario nazionale, rimborsati dalle Regioni e con tassi di guarigione attorno al 90%. Per questo, non è improprio affermare che rispetto a molte patologie oncologiche esiste in Italia un gigantesco divario fra i diritti degli uomini e quelli delle donne, divario che i medici per primi devono impegnarsi a colmare, riaffermando un principio di equità non solo medica ma sociale e culturale”.
Un altro fattore importante è che, a fronte di una prevalenza di una fascia d’età avanzata, ci sono molti giovani che potrebbero aver bisogno di un intervento che ripristini la funzionalità dell’organo: (per esempio le vittime di incidente stradale con trauma pelvico). “Il tumore alla prostata è il più frequente e diffuso fra gli over 50, che rappresenta il 18,5% dei tumori maschili, che può essere efficacemente rimosso ma che l’intervento di prostatectomia può generare effetti collaterali devastanti per la vita quotidiana. Come la disfunzione erettile, o l’incontinenza urinaria, patologie che hanno impatti pesantissimi sulle relazioni familiari e interpersonali, l’autonomia, le attività lavorative, la mobilità. Non si tratta di problemi marginali e l’errore, anche di molti medici, è ritenere che l’unico obiettivo dei pazienti sia l’asportazione del tumore. Obiettivo sacrosanto, ma che per i pazienti si accompagna comunque al desiderio di riprendere una vita normale, senza problemi di incontinenza, e una soddisfacente attività sessuale. Su questo fronte la scienza biomedicale può essere una grande alleata, attraverso soluzioni terapeutiche come le protesi peniene o gli sfinteri urinari artificiali, dispositivi impiantabili risolutivi e di comprovata efficacia. E qui torna il problema, che non è medico ma normativo e procedurale. Le protesi peniene contro la disfunzione erettile non sono inserite nei Lea-Livelli Essenziali di Assistenza e nessuna Regione ne prevede al momento il rimborso. Paradossalmente, invece, la ‘Nota 75’ in vigore da tempo prevede il rimborso delle terapie farmacologiche per i pazienti sottoposti a chirurgia pelvica. Un aspetto che rende doppiamente incomprensibile la chiusura nei confronti delle protesi e delinea, da subito, le difficoltà del percorso che gli uomini sottoposti a prostatectomia devono affrontare”, conclude.
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