Ancona da un lato, dove non “non ci sono stati i presupposti” per un patto, e il test di Brindisi dall’altro. Nel capoluogo delle Marche il M5S ha scelto di andare da solo, senza l’alleanza col Pd. Nella città pugliese dopo la rottura degli emilianisti con il sindaco uscente Riccardo Rossi, sostenuto da Verdi e Sinistra, i pentastellati convergono con il Pd e altre liste civiche, ma senza il Terzo Polo che va col centrodestra, su Roberto Fusco, consigliere comunale uscente. Per l’appuntamento col voto foggiano del prossimo autunno, tutti attendono l’esito delle amministrative di Brindisi, per capire se convenga allearsi ai dem.
La base foggiana ritiene che andando da soli con un proprio candidato sindaco, in virtù dell’onda che potrebbe arrivare dalla presenza in campagna elettorale di Giuseppe Conte, si possa raggiungere il 18%, da ben utilizzare poi al secondo turno in un apparentamento tecnico. Nell’alleanza invece il 10% potrebbe essere un risultato anche complesso da ottenere. Si contano i possibili eletti, anche se il ragionamento appare alle anime belle un tecnicismo opportunista, contro il bene e l’interesse della città, che viene da un lungo commissariamento per scioglimento per mafia.
In assenza di dibattito, con un solo candidato in campo – Nunzio Angiola – e fatta eccezione per la Comunità Politica di Luciano Beneduce, Daniela Marcone e Mario Nobile e per le iniziative delle associazioni di Antonio De Sabato e Alessio Lusuriello vicini a DeMa di Luigi De Magistris, i 5 Stelle sono guardinghi a cedere alle lusinghe di Michele Emiliano.
“Ci sono tante ragioni anche territoriali che influenzano le nostre scelte, non ci accomodiamo ad un compromesso, non annacquiamo il nostro progetto politico in alleanze, la città deve avere l’aria pulita”, ha detto Conte in questi giorni ad Ancona. Un pensiero che si può copincollare perfettamente anche per Foggia. Del resto, non ci sarebbe stato ancora nessun incontro tra Davide Emanuele segretario dem e Mario Furore, nuovo coordinatore del M5S. E di programmi nemmeno l’ombra. “Brindisi non può essere un banco di prova, perché, come ha detto Conte ad Ancona, ogni territorio ha una storia a sé”, tagliano corto i pentastellati. E la storia foggiana al momento non è rosea.
Nel Pd tutto tace. Alcuni ipotizzano nomi altisonanti, come lo stesso vicepresidente regionale Raffaele Piemontese, chiamato da alcuni ad un “senso di responsabilità” per la città. Altri avrebbero visto bene come candidata sindaca la direttrice del Dipartimento di Giurisprudenza Donatella Curtotti, ma la campagna elettorale per il Rettorato è stata dura e divisiva. Insomma la discussione è al punto zero.
Le cose non vanno meglio nel centrodestra. L’unità non è scontata, se è vero che la Lega, ancora vicina al mondo landelliano, pensa ad un tandem tra Anna Paola Giuliani e Luigi Miranda. Tra i meloniani parecchi cominciano a chiedere al consigliere regionale Giannicola De Leonardis di fare un primo passo, laddove le ipotesi civiche – con Massimo Zanasi in testa ma anche con il presidente dell’Ordine degli Avvocati Gianluca Ursitti, l’imprenditore Tito Salatto o l’ex giudice Salvatore Russetti ex assessore della Giunta dei Migliori di Franco Landella, vagliate dai due parlamentari Annamaria Fallucchi e Giandonato La Salandra – sembrano non trovare corpo.
De Leonardis non ha mai sognato di essere sindaco di Foggia. Come riferiscono i suoi amici più fidati, preferirebbe un’altra consiliatura prestigiosa in Regione, che gli arriverebbe di certo, assicurano, dal momento che ha sì tre mandati alle spalle, ma non tutti col simbolo dei Fratelli d’Italia. Chi lo vede pronto per Bruxelles sottovaluta il bagno di sangue di una campagna elettorale per le Europee che significa essere in 5 Regioni con manifesti ed incontri.
Il politico foggiano, orfano del suo grande mentore, il compianto Franco Di Giuseppe, non disdegnerebbe invece, essere candidato presidente della Provincia, se davvero nel 2024 si ritornerà al voto popolare. A Palazzo Chigi c’è la consapevolezza che a marciare parallele sui binari delle riforme non sono l’autonomia differenziata e il presidenzialismo, ma l’autonomia e il ritorno in grande spolvero delle Province, voluto da tutto il centrodestra. (In foto, Conte e Furore)
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