“Ricorso inammissibile e condanna alle spese” per Shpetim Rizvani, il 28enne albanese arrestato per il tentato omicidio di Massimo Correra, noto cardiologo foggiano. Rizvani e sua madre Haxhire Tusha sono stati condannati in via definitiva ad 8 anni e 4 mesi di reclusione. Lo ha deciso la Cassazione respingendo il ricorso presentato dagli imputati contro la sentenza d’Appello.
Il processo “Caino e Abele”, dal nome del blitz di polizia, coinvolse anche Maurizio Correra, fratello del medico, inizialmente accusato di essere il mandante dell’agguato. L’uomo fu assolto in primo grado alla luce delle dichiarazioni ritrattate dai due albanesi. Infatti, la giurisprudenza spiega che per le chiamate in correità è richiesto che l’imputato non ritratti. Nel 2020 la Procura di Foggia presentò ricorso ma i giudici lo dichiararono inammissibile poiché giunto oltre i termini consentiti.
La vicenda di cronaca risale alla mattina del 27 maggio 2018 in via Vittime Civili a Foggia. Il cardiologo scampò alla morte insieme al figlio con il quale stava per uscire dal portone di casa. Grazie all’attività d’indagine della Polizia di Stato, corroborata da una serie di video, si arrivò a Tusha e Rizvani, ritenuti esecutori materiali. Successivamente madre e figlio tirarono in ballo Correra indicato come colui che commissionò l’agguato in cambio di 5mila euro. In seguito cambiarono versione sostenendo d’essere stati ingaggiati per 2mila euro dal medico per simulare il tentato omicidio ai suoi danni.
Intercettazioni e dichiarazioni auto accusatorie non diedero scampo ai due albanesi. Gli anni di carcere evidenziano che sicuramente qualcuno diede loro l’ordine di uccidere il cardiologo. La simulazione di reato, infatti, sarebbe costata non più di 3 anni di reclusione. Ad oggi la vicenda, nonostante l’esito in Cassazione, resta avvolta – almeno in parte – nel giallo.
Intanto, resta tuttora impunito l’omicidio di un’altra persona, Mustafa Hasi, commesso pochi giorni prima dell’episodio di via Vittime Civili. Omicidio di cui si autoaccusò proprio Rizvani in un interrogatorio richiesto dallo stesso albanese. In quella circostanza il giovane chiamò in causa suo fratello come esecutore materiale insieme ad un’altra persona forse presente con lui anche in via Vittime Civili. Interrogatorio reso il 6 giugno 2018 in cui fornì precise indicazioni sull’arma usata e su chi l’avesse fornita. Legami tra le due vicende?
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