“Se il pesce puzza di mafia”. Si intitola così l’intervento social di Gaetano Prencipe, ex candidato sindaco di Manfredonia e consigliere comunale di opposizione. Prencipe è tornato sulle infiltrazioni dei clan nel settore ittico dopo l’interdittiva antimafia spiccata dalla Prefettura di Foggia nei confronti di due attività locali.
“Se il pesce del nostro Golfo puzza di mafia il guaio è grosso! – commenta Prencipe -. Altro che caro gasolio. Vallo a spiegare ai mercati di destinazione, dove finora scrivere sull’etichetta che proviene dal Golfo di Manfredonia è garanzia di qualità e di prelibatezza.
Eppure è quello che ci stanno dicendo da diversi mesi le indagini e le operazioni di polizia dirette dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, sbattendoci in faccia una dura verità: ‘la criminalità organizzata ha assunto negli anni a Manfredonia il controllo del comparto imprenditoriale connesso all’itticoltura ed al commercio ittico’. E ce l’ha ricordato senza mezzi termini anche il nuovo Prefetto di Foggia qualche giorno fa nel comunicato con cui ha dato notizia che sono state messe in esecuzione (dopo il rigetto da parte del TAR Puglia dell’istanza di sospensione presentata dai loro legali) due interdittive antimafia che hanno colpito altre società del settore ittico.
Nell’incredulità generale e nel muto silenzio che normalmente accoglie questo tipo di notizie anche sui social, alcuni giornali locali hanno nuovamente riportato le risultanze dell’indagine della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari denominata ‘Omnia Nostra’, che deve il nome proprio all’affermazione di un presunto mafioso sotto intercettazione, secondo cui ‘il mare è tutto nostro’, cioè loro (quindi, niente a che vedere con il ‘mare nostrum’ di antica memoria). Dagli ampi stralci dell’ordinanza cautelare dello scorso 7 dicembre, emerge come ‘…il sodalizio criminale abbia nel tempo assunto il controllo del commercio ittico a Manfredonia per la vendita all’ingrosso e al dettaglio di pesce … con forme di assoggettamento violento di pescatori costretti a consegnare il pesce in via esclusiva ad alcune società commerciali … e con assunzione di una posizione di monopolio ottenuta smantellando la concorrenza mediante l’utilizzo della forza di intimidazione’. Una complessa attività inquirente che ha portato all’arresto di 31 persone e, lo scorso 10 luglio, chiusa l’indagine, alla richiesta di rinvio a giudizio degli indagati per una serie di reati aggravati dal metodo mafioso e compiuti anche ai danni di altri settori economici “al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa operante nel comprensorio garganico di Manfredonia, Mattinata, Vieste e Monte Sant’Angelo, con la frazione di Macchia”.
Sia chiaro: non è la mafia che puzza di pesce, perché il nostro pesce continua a profumare di mare e al più del sudore e della dura fatica dei nostri pescatori. Il problema è che quando viene portato sulla banchina al profumo del mare si accosta un altro odore, che dovremmo tutti imparare a riconoscere subito, per starne alla larga.
Dei santi si dice che quando muoiono emanano un profumo particolare che si diffonde nell’aria, spesso di rosa o di violetta. Allo stesso modo si dice dei disonesti e dei delinquenti: come se emanassero anche loro un odore particolare, però sgradevole, che li rende riconoscibili. Insomma, un insieme di segnali che dovrebbero almeno far capire che qualcosa non va.
Vuol dire che non basta fidarsi degli occhi. Spesso si è di fronte ad imprenditori che ai nostri occhi appaiono capaci, intraprendenti, affidabili; a commercianti e ristoratori in grado di meglio attrarre la clientela e di soddisfarla con prodotti di qualità. Come facciamo allora ad accorgercene? Ecco perché occorre fidarsi anche… del naso.
Certo, le sensazioni visive ed olfattive da sole non bastano per dare del mafioso a qualcuno. In uno stato di diritto come il nostro occorrono le sentenze, meglio se passate in giudicato. Però, nel frattempo che arrivano le sentenze o che passino in giudicato occorre fare finta di niente? Non credo. Intanto sarebbe bene parlarne di più, informare e informarsi sul fenomeno, capirne le possibili dinamiche, discuterne e chiedersi cosa fare almeno sul piano della prevenzione e sul come mettere le istituzioni, a partire dal Comune, al riparo da ogni rischio di possibile infiltrazione o contatto con soggetti che non danno sufficienti garanzie di onestà, di trasparenza e di affidabilità.
Per tornare al pesce ed all’economia che ruota intorno del settore ittico, si potrebbe intanto, con la collaborazione e lo stretto controllo delle varie istituzioni preposte o che abbiano a cuore il problema, promuovere l’attività del mercato ittico e farne il perno di una filiera etica, in grado anche di meglio valorizzare e promuovere il pescato del Golfo e di garantire ai pescatori il giusto prezzo (in linea con quello dei vari mercati ittici italiani collegati in diretta), sottraendoli dai vantaggi illusori di un’economia sommersa più facilmente alla mercé della delinquenza organizzata. Di certo, la risposta alla quarta mafia non può essere solo di carattere repressivo. È giusto pretendere – conclude Prencipe – che sia lo Stato ad intervenire e a fare fino in fondo la propria parte, ma noi dobbiamo iniziare a fare seriamente la nostra, altrimenti non ce ne libereremo”.