La Cassazione presenta il conto a Michele Mansi, dichiarando inammissibile il ricorso contro la condanna ad un anno e 6 mesi per usura. Pena dunque definitiva per il 39enne manfredoniano difeso dall’avvocato Innocenza Starace. Mansi è ritenuto dagli inquirenti vicino a membri di spicco della malavita organizzata del Gargano, tra questi Francesco Scirpoli uomo di vertice del “clan dei mattinatesi”, al momento in cella per l’assalto ad un portavalori.
Una brutta storia di usura quella disvelata dalla polizia nell’ormai lontano 2014 quando Mansi fu arrestato dagli agenti del commissariato di Manfredonia. Il procedimento penale scaturì grazie al coraggio della vittima che sporse denuncia-querela a carico di ignoti per danneggiamento aggravato e minacce, raccontando che, dopo un periodo trascorso in Africa per lavoro, al rientro a Manfredonia gli era capitato un grave episodio minatorio, ossia “il danneggiamento della sua auto – riportò la polizia in un corposo comunicato stampa –, nel cui abitacolo fu lasciata una busta con cinque proiettili calibro 9×21 e un biglietto riportante gravi minacce di morte indirizzato a lui e ai suoi familiari”.
Impaurita e timorosa, in sede di denuncia la vittima indirizzò i suoi sospetti nei confronti di Mansi, usuraio che nell’ottobre 2011 gli concesse un prestito, ma che continuava a tormentarlo anche dopo la completa restituzione dei soldi prestati e dei relativi interessi “a strozzo” pattuiti. Il malcapitato rivelò che, seppur avesse completamente liquidato il prestito (chiesto in un momento di grave difficoltà economica, dovendo saldare urgentemente dei lavori presso una casa rurale), Mansi avrebbe preteso la dazione di un’ulteriore somma di 2mila euro. Palesandosi il reato di usura, gli agenti chiesero al denunciante le modalità del prestito, avvenuto in contanti sia per quanto concerne il finanziamento che per la successiva restituzione, appurando che alla riconsegna della somma comprensiva di esosi interessi erano presenti alcuni testimoni che, escussi a sommarie informazioni testimoniali, confermarono la versione fornita.
Durante una perquisizione a casa del condannato, furono rinvenuti un assegno bancario in bianco, post-datato e firmato dal titolare di un’azienda edile locale, in merito al quale l’aguzzino “asserì di avere, qualche mese addietro – scrisse la polizia nella nota –, prestato una somma di denaro, ricevendo quell’assegno come garanzia, lasciando in bianco il campo relativo al beneficiario; inoltre, su di una matrice di un blocchetto risultò essere stato staccato un assegno intestato ad un locale commerciante di calzature; anche in questa circostanza Mansi riferì di aver concesso del denaro ad un commerciante. Del prestito, su di una vecchia agenda trovata in un locale presso la masseria in uso all’arrestato, erano riportati tutti i conteggi, dai quali si intuiva la data del prestito e quello della scadenza, con un esoso incremento economico rispetto alla somma prestata, tasso di interesse più che usurario”.
Di fronte all’evidenza dei titoli di credito rinvenuti, senza essere interpellato, quasi a giustificarsi, “Mansi – riferirono gli investigatori – asserì di essere ‘un benefattore‘ che prestava soldi senza alcun compenso”, ma appariva chiaro che l’agenda era un promemoria di alcuni dei prestiti concessi a persone in difficoltà economica. Il gip, mutuando al caso in esame i superiori principi giurisprudenziali, ritenne che nessun dubbio potesse sussistere in ordine alla configurabilità del delitto di usura a suo carico atteso che, come emerso dall’istruttoria, “la persona offesa – conclusero gli agenti di polizia nella nota stampa – si rivolse all’usuraio perché in grave difficoltà economica per dei lavori che aveva necessità di svolgere e per i quali non disponeva della necessaria provvista economica; lo stato di bisogno derivava proprio dal carattere esorbitante degli interessi pattuiti”. (In alto, in foto, Mansi e Scirpoli; sullo sfondo, il commissariato di Manfredonia)