Torna a splendere all’interno della cattedrale di Foggia “La Pietà”, l’opera realizzata nel 1741 da Paolo De Maio che il passare del tempo ne aveva offuscato la sua bellezza. L’intervento, realizzato dalla restauratrice Daniela Pirro di San Marco in Lamis, è avvenuto sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Barletta-Andria-Trani e Foggia, nelle persone di Antonio Falchi, Diana Venturini e Elena Arlotti e con il coordinamento dell’architetto Antonio Ricci, Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici – Arcidiocesi Foggia-Bovino dell’Arcidiocesi di Foggia. Il restauro è stato interamente finanziato da “Opera Tua” di Coop Alleanza 3.0, il progetto con il quale l’azienda sostiene la valorizzazione dei beni culturali nelle nove regioni italiane in cui è presente in collaborazione con Fondaco Italia, l’Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale ed il patrocinio del Touring Club Italiano.
L’OPERA
“La Pietà”
Cattedrale di Foggia – transetto altare di destra
Autore: Paolo De Maio
Olio su tela – 1741 – cm 315 x cm 215
Paolo De Maio, Paolo. – Figlio di Giovanni Pietro e di Ovidia Izzo, nacque a Marcianise (Caserta) il 15 genn. 1703. Il De Dominici (1745), inserendolo tra i discepoli di Francesco Solimena, lo ricordava come “un de’ scolari che con assiduità hanno assistito alla scuola, e benché non sia giunto al valore de’ più eccellenti, ad ogni modo si porta bene, e non gli mancano continuamente delle faccende, vedendosi molte opere esposte al pubblico”. La sua formazione all’interno dell’accademia solimenesca e la convinta adesione ai termini puristici del classicismo arcadico sperimentato dal maestro, sul finire del XVII secolo, determinarono un avvio verso equilibrate soluzioni disegnative, cui corrispondeva un misurato uso del chiaroscuro di matrice pretiana. Dopo la Pietà (1741) per il duomo di Foggia, fecero seguito numerose repliche, da quella della SS. Carità a Capua, 1759, a quelle di S. Francesco ad Aversa, di S. Teresa a Chiaia, 1760, e di Pandola, 1769.
Descrizione dell’opera
l dipinto è realizzato su tela centinata montata su telaio in legno con tecnica a olio, di ottima fattura. In basso a sinistra si leggono la firma dell’autore, Paolo De Majo, e la data di esecuzione, 1741.
L’impianto compositivo ripete lo schema iconografico del compianto della Madonna sul Cristo morto.
Cristo, al centro, è esanime e si staglia contro i panneggi di tessuti su cui il Santo corpo ricade. Viene pianto dalla madre e dall’apostolo Giovanni, come da tipica e antica iconografia. Al di sopra, si levano nembi che ospitano 5 teste ricciute di putto e due angioletti, componendo così uno schema sinusoidale, tipicamente barocco. Sullo sfondo campeggia un paesaggio desolato e spoglio. In basso a destra, il cartiglio I.N.R.I, la corona di spine e gli attrezzi della crocifissione completano l’iconografia della Pietas cristiana.
Il corpo di Cristo è morbidamente adagiato sulla pietra anziché sulle ginocchia della madre, un braccio del Cristo ricade all’indietro e il resto del corpo poggia su un bianco lenzuolo. Sia questo sia il perizoma, simboli della sua missione di purificazione, formano ricche pieghe che creano un movimento a drappeggio. Giovanni, efebico e bellissimo, bacia una mano del Maestro e si prostra in commossa venerazione. La resa dell’insieme è molto realistica e scenografica, tipica dello stile barocco dell’autore, con particolare cura e ricchezza anche nei dettagli: le rocce con la vegetazione, i puttini e gli angeli, l’albero dalle fronde al vento, il paese lungo la linea del piano dell’orizzonte, i drappeggi delle stoffe. La Vergine si sostituisce alla croce, divenendo insieme simbolo della crocifissione e Madre crocifissa essa stessa.
La tavolozza si compone di bianco di piombo e terre per gli incarnati, di cinabro per i rossi, di azzurrite per gli azzurri, in alcuni casi miscelati con lacca per i toni violacei molto scuri, sintomo di una raffinatezza e attenzione alla resa cromatica del tutto peculiare dell’artista.
Cattedrale – Cenni storici
Già collegiata di Santa Maria, la cattedrale è stata eretta nel XII secolo e più volte modificata, conserva all’esterno buona parte dei raffinati prospetti romanici in pietra squadrata e scolpita, col prezioso cornicione popolato di sculture, raffinata opera dell’architetto-scultore Bartolomeo da Foggia e, sul fianco sinistro, il ricco Portale di San Martino. Medievale è anche la suggestiva cripta, con notevoli capitelli sempre opera di Bartolomeo da Foggia. In età barocca il tempio fu ristrutturato globalmente, all’esterno mutando la parte superiore dei prospetti e innalzando il raffinato campanile lapideo con coronamento a guglia, e all’interno riplasmando in discreto stile rococò l’impianto architettonico, una croce latina con cupola a scodella decorata con sobri ornati a stucco. A pianta basilicale, la chiesa riflette l’impostazione barocca del tardo Seicento. Lungo la navata, si ritrovano anche le opere di alcuni dei più insigni artisti napoletani del Settecento, come Francesco De Mura, Paolo De Maio e Giacomo Colombo. Piccolo scrigno nascosto è la cripta, con i capitelli posti sulle colonne di mandorlato garganico e l’abside centrale affrescata con il Cristo Pantocratore. Prezioso tesoro della cattedrale, oggetto di forte devozione, è il Sacro Tavolo di Santa Maria dell’Iconavetere, o Madonna dei Sette Veli, forse la più antica icona pugliese, un esempio molto raro di Vergine in piedi, a figura intera, che regge il bambino con entrambe le mani.
Ditta che ha realizzato il restauro: Artistica Pirro di Daniela Pirro (San Marco in Lamis – Foggia)
Stato di conservazione:
Principali fattori di degrado dell’opera sono stati gli interventi di restauro di cui è stata oggetto in passato, ascrivibili al secondo quarto del ‘900.
Questi precedenti interventi di restauro, la cui documentazione archivistica è assente o andata perduta, furono decisi in seguito a un’importante perdita di pellicola pittorica originale, che l’opera aveva subito in seguito a dilavamenti o perdite dal soffitto. Dette lacune interessano tutta la parte alta del dipinto, dalle campiture dei cieli ai putti, fino al volto della Vergine, fortemente danneggiato e lacunoso, ridipinto e reintegrato con numerosi strati policromi non originali, debordanti rispetto al perimetro delle lacune e raccordati maldestramente tra di loro. Il dipinto fu allora sottoposto a un’operazione di foderatura con 3 teleri cuciti tra loro, si praticò un’operazione sommaria di pulitura della pellicola pittorica, furono effettuate stuccature e una ingente patinatura di tutta l’area della rupe posta alle spalle della Vergine e del Cristo, patinatura bituminosa che occultava la pietra e la soglia del sepolcro. Nel corso dello stesso intervento, l’opera aveva subito la sostituzione del telaio e della cornice originali.
Erano inoltre stati inchiodati ben 87 chiodi perimetrali lungo tutto il fronte del dipinto, danneggiando la pellicola pittorica, non solo in corrispondenza dei chiodi stessi, ma anche in diverse aree soggette a tensionamento errato. Ciò ha inevitabilmente provocato il distacco dei diversi strati pittorici, rendendo ancor più deboli i punti di contatto dei limiti esterni della tela originale con la stuccatura presente lungo i bordi.
Tutte le aree brune della policromia antica erano state ulteriormente compromesse nel corso delle operazioni di pulitura, come dimostravano le molte craquelures “a scodellina” con creste rialzate, concentrate in tutte le aree brune.
Tutto il supporto tessile originale, poi, era interessato da lacerazioni, cedimento strutturale e da un ingente attacco microbiologico legato all’intervento di foderatura del secolo scorso. Una reintegrazione pittorica invasiva nelle modalità di esecuzione materica e negli intenti storici e critici aveva compromesso esteticamente l’intera superficie pittorica della parte superiore del dipinto. Su tutto il fronte, infine, uno spesso strato di vernice, alterata cromaticamente, occultava la tavolozza originale del dipinto e fungeva ormai quasi esclusivamente da elemento di coesione degli strati pittorici, pronti a frammentarsi e perdersi completamente al minimo movimento.
Le fasi del restauro:
- Indagini preliminari (fluorescenza UV e microscopio digitale) per valutare l’effettivo stato di degrado e per indagare sulle sovrammissioni non originali
- Saggi di resistenza termo-igrometrici per testare la resistenza del dipinto all’acqua e al calore
- Velinatura del fronte e svincolamento del dipinto dal telaio
- Disinfestazione dal retro e rimozione del supporto tessile non originale
- Pulitura e consolidamento del supporto tessile
- Consolidamento dal retro per conferire nuova adesione a tutto il corpus pittorico
- Conferimento di planarità tramite anossia e sottovuoto
- Sutura di tagli e lacune del supporto mediante ricostruzioni filo a filo o tarsia tessile a innesto
- Foderatura su nuovo supporto tessile mediante adesivo sintetico, nuovo conferimento di anossia e stiratura
- Saggi di solubilità e scelta del metodo di pulitura del film pittorico
- Pulitura mediante enzimi, tensioattivi e soluzioni a polarità idonea
- Rimozione delle stuccatura precedenti e rifinitura della politura al microscopio digitale
- Indagine in fluorescenza UV per verificare l’effettiva rimozione delle policromie non originali
- Costruzione di un nuovo telaio ligneo con tecnologia ad espansione mitrometrica
- Tensionamento della tela sul nuovo telaio
- Reintegrazione plastica delle lacune e livellamento delle ricostruzioni
- Reintegrazione estetica delle lacune a tono, a velatura e a tratteggio, queste ultime quando assolutamente necessarie, reversibili e facilmente riconoscibili
- Realizzazione di una nuova cornice per anastilosi rispetto a quella precedente, in legno di faggio con listello, scozia e gola rovescia, dorata su bolo rosso armeno.
- Ancoraggio della nuova cornice
- Nebulizzazione del protettivo finale