Ha patteggiato 4 anni il 23enne Francesco Pio Pacilli, figlio di Peppe U’Montanar, uno dei capi storici del clan dei montanari, arrestato nel 2011 dopo un lungo periodo di latitanza.
Il giovane Pacilli finì al centro del blitz “Stirpe Criminale” del dicembre 2018 condotto dalla polizia e coordinato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari. Proprio nel capoluogo di regione si è svolto il processo che nelle scorse ore ha registrato il patteggiamento del principale indagato, attualmente rinchiuso nel carcere di Foggia. L’enfant prodige del clan Li Bergolis-Miucci era accusato di traffico di droga, corruzione e dell’incendio dell’auto di un carabiniere, tutti reati aggravati dalla mafiosità.
Il gip non ha accolto il patteggiamento per Libero Caputo, 42 anni. Per lui rinvio a giudizio e processo da celebrarsi a Foggia dal 22 gennaio 2020. Il 21enne Matteo Caputo ha invece patteggiato 3 anni e 4 mesi. Condanne oscillanti tra 8 mesi e 2 anni per gli altri imputati, marginali rispetto a Pacilli e Caputo.
“Stirpe Criminale” scoperchiò il traffico di droga sul Gargano e in particolare a Manfredonia. Lo stupefacente, giunto dall’Albania, veniva recuperato dagli arrestati direttamente dagli uomini del clan e venduto nel centro sipontino. Senza scrupoli i criminali, colpevoli di aver anche bruciato l’autovettura di un carabiniere ritenuto scomodo.
I FATTI
Polizia e DDA arrestarono Francesco Pio Pacilli, classe ’96; Libero Caputo, classe ’77, Matteo Caputo, classe ’98; Salvatore Pacillo, classe ’63, Ciro Pacillo, classe ’97; Valentino Conoscitore, classe ’72. Alcuni ritenuti contigui alla criminalità organizzata garganica del gruppo mafioso dei “Montanari”, ritenuti a vario titoli partecipi dell’organizzazione criminale operante a Manfredonia e capeggiata da Francesco Pio Pacilli, figlio del noto Giuseppe Pacilli, alias “Peppe “U Muntanar”, catturato dalla squadra mobile di Foggia nel maggio 2011 dopo un periodo di latitanza di circa due anni.
La giovane consorteria criminale aveva di fatto monopolizzato lo smercio dell’hashish nella cittadina garganica. Fu accertata l’esistenza di una struttura organizzata caratterizzata da un sistema verticistico facente capo a Libero Caputo, imprenditore nel settore dell’abbigliamento a Manfredonia, e Francesco Pio Pacilli, entrambi deputati alla gestione, in prima persona, degli acquisti delle forniture di consistenti quantitativi di stupefacente, sfruttando relazioni privilegiate con altre consorterie criminali della provincia, ed occupandosi della gestione contabile dei consistenti ricavi generati dalla vendita al dettaglio attraverso una collaudata e ben organizzata rete di spaccio composta dagli altri sodali sotto-ordinati con grado di pusher a cui i due imponevano precise regole per lo spaccio al minuto.
Le attività tecniche evidenziarono il tentativo di Pacilli e Caputo di sbarazzarsi delle attenzioni rivolte loro dalle Forze di Polizia, sfruttandone la risonanza del gesto nel rapporto con i sodali e più in generale con gli altri concorrenti, dapprima incendiando l’auto di un carabiniere e successivamente arrivando addirittura a formalizzare una denuncia per atti persecutori nei confronti del medesimo per allentare i frequenti controlli.
Già durante un periodo ai domiciliari, i due pianificavano viaggi verso Cerignola per l’approvvigionamento di consistenti quantitativi di hashish. Su esplicito incarico dei vertici dell’organizzazione, infatti, Matteo Caputo e Raffaele Quitadamo, opportunamente istruiti da Pacilli, si procuravano un’auto a loro non riconducibile per recarsi a Cerignola.
Secondo gli inquirenti, Pacilli junior e Libero Caputo conquistarono l’egemonia dello smercio al dettaglio dell’hashish nella città di Manfredonia, impadronendosi di punti strategici quali “piazzetta Mercato” e più in generale alcuni luoghi di ritrovo dei giovani manfredoniani situati in zona Monticchio.