“Caino e Abele” alla foggiana. È ormai agli sgoccioli il processo di primo grado che si sta svolgendo nel Tribunale di Foggia a carico di Maurizio Correra, Haxhire Tusha e Shpetim Rizvani. I tre sono accusati di aver tentato di uccidere Massimo Correra, noto cardiologo dell’ASL di Foggia e fratello di Maurizio. Il pubblico ministero Vincenzo Bafundi ha chiesto sette anni di reclusione a testa per gli imputati. La sentenza è attesa nelle prossime settimane.
Maurizio Correra, 54enne foggiano, pregiudicato per reati contro il patrimonio, è ritenuto mandante dell’agguato mentre gli altri due, mamma e figlio di nazionalità albanese, gli esecutori.

La mattina del 27 marzo 2018, il cardiologo ed il figlio minorenne, stavano uscendo dal portone di uno stabile in via Vittime Civili, quando vennero affrontati da due persone. La donna all’interno dell’atrio esplose due colpi di arma da fuoco al loro indirizzo senza causare il ferimento per un solo caso fortuito. Poi si dileguò con il figlio. Un paio di mesi dopo, il trio fu stanato da procura e polizia che ricostruirono la vicenda.
Operazione “Caino e Abele”
Secondo gli inquirenti, Maurizio Correra diede incarico ai due albanesi di ammazzare il fratello per 5000 euro. Il tutto al fine di chiudere una situazione conflittuale dovuta all’esistenza di forti dissapori per motivi economici ed ereditari (tra i quali una storia di assegni incassati dalla vittima per qualche migliaia di euro). Vicende confermate dallo stesso cardiologo in sede di denuncia. Tale possibile movente trovò conferma nella circostanza che gli autori dell’agguato erano riusciti ad entrare nell’androne della casa della vittima senza alcuna forzatura al portone di ingresso, e pertanto risultò plausibile che Maurizio disponesse delle chiavi di ingresso e le avesse date ai soggetti incaricati di uccidere il fratello.
Una volta accertata che l’auto Suzuki Swift utilizzata quella mattina fosse sempre nella disponibilità delle stesse persone, fu operata una perquisizione in un casolare di Borgo Segezia, dove furono identificati Shpetim Rizvani nato in Albania classe 1994 e la madre Haxhire Tusha nata in Albania classe 1958.
Il mandante, al fine di precostituirsi un alibi, consegnò preventivamente ai due albanesi uno scritto in cui risultava che avessero ricevuto l’incarico omicidiario dalla vittima. L’intento era far credere che il cardiologo volesse rimanere ferito in un agguato per incastrare il fratello Maurizio.
A chiudere le indagini ci pensarono gli stessi albanesi durante i colloqui intercettati in questura dopo il fermo. Il giovane alla madre: “La pistola dove l’hai messa? Se esco fuori, prendo la pistola e lo uccido, bim bam! Poi me ne vado via da qua”. E la madre: “Ce l’avevo vicino, avevo una grande occasione…”, rammaricandosi così del fallimento del progetto delittuoso.