“Sparavano verso la stazione. Erano tre persone, tutte armate. Non erano fuochi d’artificio”. È il racconto di Antonio Pazienza, uno dei testi del processo sulla strage di San Marco in Lamis, altri saranno ascoltati il prossimo 21 ottobre, sempre in Corte d’Assise a Foggia. Saranno sentite le vedove Luciani, il padre dei contadini, un operaio indiano che coltivava zucchine per conto di Pazienza e alcuni rappresentanti del ROS dei carabinieri e della squadra mobile. Nell’udienza del 30 settembre 2019 l’unico a parlare è stato Pazienza, imprenditore agricolo, proprietario di un terreno non lontano dal luogo della strage.
“Tre persone hanno fatto fuoco (come emerso dagli approfondimenti de l’Immediato) poi sono risalite in macchina per proseguire verso Apricena – ha detto il teste davanti al giudice Antonio Civita, rispondendo alle domande della pm della DDA di Bari, Luciana Silvestris -. Dietro c’era un suv o un Hammer che io ricordo essere molto pulito. Mi è rimasto impresso perchè questa macchina, vedendo che c’era in corso una sparatoria, ha iniziato una retromarcia. Pensai che poteva finire fuoristrada ma è riuscita a fare inversione e andare via, nonostante le cunette e la strada stretta. È scappata via verso l’incrocio che porta a San Severo, Manfredonia e San Giovanni Rotondo. Forse andò in direzione San Severo ma non ne sono sicuro”. Dall’interrogatorio è emerso che il commando armato agì con una certa calma e “senza comportamenti maldestri”. In buona sostanza dei lucidi professionisti di morte, non sicari esaltati e scatenati. Tre persone in grado di agire con azioni calcolate e preventivate.
“Dopo la seconda sequenza di colpi, io e il mio amico Michele siamo andati a vedere cosa fosse successo e abbiamo notato il Fiorino bianco (mezzo dei Luciani, ndr) col cassone scoperto. Io mi sono avvicinato al corpo riverso a terra con la maglietta verde. Aveva un enorme macchia di sangue sulla schiena. Sono rimasto lì senza toccarlo mentre il mio amico si è avvicinato al Fiorino. Poi io ho chiamato i carabinieri, Michele l’ambulanza”.
Dopo la Silvestris è intervenuto il legale del fratello di Mario Luciano Romito, boss di Manfredonia ucciso nella mattanza e principale obiettivo dei sicari: “Lei crede di essere stato visto dagli sparatori?”, la domanda dell’avvocato. “Impossibile, guardavano da tutt’altra parte. Inoltre in zona c’erano anche alcuni operai al lavoro nel campo di zucchine”. “Nel verbale di sommarie informazioni testimoniali – ha incalzato Pellegrini -, lei raccontò che i killer, dopo aver sparato, con molta calma e senza correre salirono sull’auto per allontanarsi in direzione Apricena, è così?”. “Beh, si. E non ricordo movimenti veloci da parte loro”.
Poi l’avvocato della sorella di Romito: “Quanto è durata l’azione di fuoco?”. Il teste: “Credo 2-3 minuti. Dopo i primi colpi continuai a parlare con il mio amico, eravamo convinti si trattasse di fuochi d’artificio. Poi sentimmo altri colpi ed uscimmo fuori”.
Ultime domande ad opera del difensore di Giovanni Caterino, presunto basista dell’agguato e al momento unico imputato nel procedimento penale: “Avete visto che stavano sparando o solo sentito?”. la domanda. Pazienza: “No, io ho visto. Ma gli obiettivi erano coperti dalla stazione. Quando siamo arrivati nei pressi dei cadaveri i killer erano andati via. Li ho visti allontanarsi mentre ero ancora nel mio recinto”.
“Anche altri potrebbero aver visto?” “Si. C’erano alcuni nel campo delle zucchine, più vicini di me”. In quei minuti frenetici l’uomo vide anche un’auto rossa, forse una Fiesta, guidata da un signore anziano che passava per caso. “Ha visto la scena ed è tornato indietro”.