Racket del sapone o semplice trattativa commerciale? Dalle carte dell’ordinanza sulla presunta estorsione ai titolari di Proshop da parte di Dina Francavilla e del genero Antonio Salvatore, le vittime commentarono così l’attentato subito a fine 2015. “Abbiamo letto questa mattina del fatto che pure a quello hanno messo la bomba: noi sicuramente poi avremo delle richieste”. Pochi giorni dopo la vittima si sfogò: “Ma un negozio così lo riempi che ci vogliono 100mila euro”. Il 27 gennaio 2016 emerse, da una captazione ambientale, anche il tentativo di alcuni dei taglieggiati di rivolgersi a un capo-mafia cerignolano per risolvere i problemi col clan foggiano dei Francavilla.
“Siamo stati costretti a fare la fornitura – la spiegazione durante un interrogatorio dei carabinieri -. Abbiamo avuto paura. Io non volevo dare la merce perché avevo paura che non ci pagassero: ho paura e vorrei addirittura cambiare casa. Sapevo che dietro c’erano la Francavilla e suo genero. Per questo ho acconsentito. A noi ci avevano sparato (colpi d’arma da fuoco contro auto dei titolari di Proshop, ndr), a un altro avevano messo la bomba (negozio di via Zodiaco a Foggia, ndr) e allora abbiamo deciso di fare la fornitura”. E si legge ancora: “Con questi personaggi non è utile né conveniente avere alcun tipo di rapporto, tantomeno di natura commerciale. Abbiamo effettuato la fornitura solo per evitare altri problemi”.
Un altro imprenditore della società di igiene per la casa, sentito dai carabinieri, confermò tutto: “Decidemmo di effettuare la fornitura per non scontentarli e vivere serenamente anche perché l’episodio dei colpi d’arma da fuoco pochi giorni dopo un incontro con la Francavilla e l’ordigno esplosivo presso un nostro affiliato al logo Proshop, destarono molto spavento”.