“Oggettivo collegamento con la corruzione“, questo il commento di Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac) sul disastro ferroviario in Puglia. Lo ha affermato nel presentare in Senato la relazione 2015 dell’Anac. Quell’incidente, secondo Cantone, “è frutto probabilmente di un errore umano, ma anche conseguenza di un problema atavico del nostro Paese di mettere in campo infrastrutture adeguate ed una delle ragioni di ciò è da individuarsi nella corruzione”.
Un atto d’accusa sulle troppe cose che ancora non funzionano a dovere nel contrasto alle tangenti, dall’implementazione del “whistleblowing” – la segnalazione di illeciti e malaffare dall’interno di enti e aziende – ai piani anticorruzione della pubblica amministrazione, dalla trasparenza degli enti locali alle risorse dell’Anac, a cui la mancata azione del governo impedisce “di investire risorse che l’Autorità ha già a disposizione”.
“Si ritiene non più procrastinabile intervenire sull’articolo 19 del decreto 90 che impedisce oggi all’Autorità di investire le risorseche ha già a disposizione”, ha denunciato il magistrato. “Rimuovere questo vincolo non significa aprire il rubinetto della spesa, ma permettere all’Anac, senza oneri aggiuntivi per le finanze pubbliche, di rafforzare le proprie competenze e professionalità, di offrire a cittadini e operatori del mercato strumenti e servizi indispensabili e, soprattutto, di portare avanti i tanti progetti utili per la prevenzione della corruzione”.
Tra le note dolenti, la lentezza della pubblica amministrazione ad adeguarsi agli obblighi previsti dalla legge anticorruzione del 2012, soprattutto su fronte della prevenzione di cricche e mazzette. I Piani triennali di prevenzione della corruzione, che ogni pubblica amministrazione deve predisporre, sono stati finora di qualità “modesta”. Il Piano nazionale del 2013, ha detto Cantone, è “rimasto sostanzialmente ‘un pezzo di carta”, anche se l’Anac ne ha sfornata una nuova versione nel 2015. L’analisi del contesto esterno è assente per oltre l’84% dei casi, la mappatura dei processi delle aree a rischio obbligatorie è di scarsa qualità e analiticità in circa tre quarti dei casi, mentre le misure di trattamento del rischio sono adeguate solo in 4 casi su 10. Criticità confermate anche dall’attività di vigilanza: nel corso del 2015 sono stati aperti 929 procedimenti istruttori, alcuni relativi a importanti amministrazioni come Roma Capitale e il ministero dello Sviluppo economico. Oltre alla scarsità di risorse, Cantone evidenzia da parte dei funzionari responsabili “l’atteggiamento di mero adempimento formale, limitato ad evitare le responsabilità in caso di mancata adozione del Piano”. E i responsabili della prevenzione della corruzione? “E’ sempre più evidente” il loro “isolamento”, dovuto al “sostanziale disinteresse degli organi di indirizzo politico, che il più delle volte si limitano a ratificare il suo operato, approvando il Piano senza alcun approfondimento o supporto reale all’attività”.