“In queste giornate vogliamo lanciare un messaggio forte al nostro territorio, in cui due giovani su tre sono senza lavoro e il tasso disoccupazione è pari al 21%. È un dato che si legge nella crisi non solo del Mezzogiorno, ma non va bene che per l’accesso al credito a un impresa iscritta in Capitanata venga riservato un trattamento diverso rispetto alla Lombardia. È bene che ci sia un riequilibrio territoriale, che vuol dire occupazione”. Lo ha chiarito il presidente di Confindustria Foggia, Gianni Rotice a Cerignola, inaugurando il ciclo di incontri ideato per celebrare il settantesimo anniversario dell’associazione degli industriali di Capitanata. Si è tenuta nella sala ricevimenti Torre Giulia, la prima delle quattro giornate di studio, cui faranno seguito gli appuntamenti di Manfredonia e San Severo, prima dell’incontro conclusivo del 10 aprile prossimo a Foggia con il presidente nazionale Giorgio Squinzi.
Nei tre tavoli di confronto arricchiti dalla presenza di numerosi ospiti, tra cui Gaetano Pascale, presidente nazionale Slow Food, Giovanni Lo Storto, direttore Generale LUISS Guido Carli di Roma e Tano Grasso, presidente Onorario della Federazione Associazioni Antiracket, si è discusso di agroalimentare, legalità e di un progetto di sviluppo per il Basso Tavoliere.
E una delle forze trainanti dell’economia locale è data dalla solidità finanziaria degli stakeholder dell’agroalimentare, primi attori del comparto delle agroindustrie pugliesi, riconosciuti marchi della scena nazionale e valenti ambasciatori del made in Italy all’estero. Per loro è fuori casa che occorre consolidare i mercati, sfruttando i principali punti di forza del sistema produttivo nazionale: il “prodotto fresco”, direttamente “prelevato dai campi”, e il marchio “Made in italy”. “Dobbiamo cercare di essere più forti nel portarci all’estero con le nostre produzioni”, ha affermato Alessandro Masiello, presidente della Sezione Agroalimentare di Confindustria Foggia. L’export e l’innovazione sono le chiavi della ripresa. Lo ha ribadito anche il presidente del Distretto Tecnologico Agroalimentare Regionale, Gianluca Nardone. “Le nostre aziende stanno brevettando soluzioni per dare sempre più servizi. Un esempio: siamo nelle condizioni di dare consulenza mirata ai cereaglicoltori che possono avere direttamente sul tablet, sul proprio smartphone, l’indicazione su ciò che deve essere fatto in campo, informazioni su mirati interventi che fanno risparmiare del 30% l’impatto sul terreno, determinando una maggiore produzione”.
Campo fertile per la ricerca nel settore agroalimentare è il Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università degli Studi di Foggia, che come ha ricordato il prorettore Milena Grazia Rita Sinigaglia “collabora con le aziende del territorio per portare vantaggi economici alla nostra terra”. La straordinaria scoperta di “Gluten friendly” lo testimonia, e i corsi in ortofrutta, logistica, il neonato in Ingegneria dei sistemi logistici per l’agroalimentare lo dimostrano. “È evidente che l’Università di Foggia ha molto interesse per questo settore. E per il prossimo anno accademico è prevista l’attivazione del corso in Scienze gastronomiche –ha annunciato il prorettore-, per dare influsso anche al turismo, attraverso la valorizzazione delle nostre ricette tipiche”.
Per Gustavo Ghidini, docente di Diritto Industriale e condirettore dell’Osservatorio Proprietà intellettuale, Concorrenza e Comunicazione della Luiss Guido Carli di Roma è in questa direzione, “per pochi ma grandi programmi di ricerca e innovazione, in infrastrutture”, che andrebbero investiti i 15miliardi spesi in bonus bebè e gli 80 euro di Renzi. “L’incentivo è il miglior supporto”, anche per combattere i fenomeni di agropirateria, che hanno una notevole incidenza sui fatturati delle imprese.
Per il presidente nazionale di Slow Food il made in Italy, tanto imitato, è così appetibile, soprattutto, per la “varietà di produzione”. Non è solo questione di qualità. “Quello che rende appetibili le produzioni italiane sono le vocazioni naturali, le molte spinte che danno identità alle nostre produzioni, un’identità riconosciuta dal mercato globale e che si trasforma in valore. Questo valore tende a ridursi, in proporzione, per gli agricoltori –ha osservato Pascale- traducendosi in maggior beneficio per gli altri soggetti della filiera. È questo il problema”. Bisogna “remunerare bene i primi attori della filiera” per spostare l’asticella della qualità verso l’alto e non disperdere il patrimonio di peculiarità, di identità. Per questo Slow Food si sta attrezzando per dare riconoscibilità al latte, al pane, all’olio, ai derivati della frutta, istituendo presidi nazionali.
La qualità è invece “alla base del giusto riconoscimento del prezzo e della giusta remunerazione”, ha ribattuto Valeria Martino, intervenendo a nome dei Sementieri, Molini e Pastifici di Confindustria Foggia. “L’unico sistema per fare qualità in Italia è lavorare sull’innovazione e ricerca. Lavorare sulle varietà di specie antiche che si adattano meglio alle condizioni pedoclimatiche, nel caso dei cerali, è l’unico sistema, oggi, per andare incontro alle esigenze degli agricoltori e delle industrie di prima e seconda trasformazione”. La Martino di Coseme ha realizzato, come privato, una filiera per commercializzare una pasta di frumento duro all’estero. L’agricoltore, primo anello di questa filiera, “vuole la quantità”, il trasformatore “ha bisogno della qualità” per riscuotere appeal sul mercato. Un compromesso è la “garanzia del prezzo”, ma “si verifica spesso una distonia”.
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