Finito il tempo dei “latifondisti classici”, si ritorna agli agricoltori “attivi”. L’Europa spinge così sul tema strategico per i prossimi anni: la terra a chi la lavora. Per questo cominciano a fiorire organizzazioni di produttori (Op) disposte a mettere da parte la logica sinora dominante, secondo la quale i consorzi di produttori dovevano mirare ad intercettare le risorse comunitarie per il trasferimento del prodotto alla Grande distribuzione organizzata.
“Finora ha prevalso l’approccio latifondistico– spiega Marco Nicastro, presidente nazionale della sezione Pomodoro da industria di Confagricoltura -, con professionisti di ogni specie impegnati in una corsa forsennata all’acquisto di terreni che, in alcuni casi, hanno garantito rendite fisse di 40-50mila euro”. Dalla riforma degli aiuti comunitari del 2008, tuttavia, la musica è cambiata. Anche per questo è nata proprio a Foggia una delle organizzazioni più interessanti nel nuovo contesto, la società cooperativa agricola “Mediterraneo”, riconosciuta ufficialmente dalla Regione Puglia ad agosto scorso. Per il momento, il carattere interregionale dell’organizzazione, permette di produrre pesche (130 ettari); grano, pomodoro, meloni, carciofi e peperoni (su più di 400 ettari a Foggia); uva a Torremagiore e pomodoro a Castiglione della Pescaia. Complessivamente, quasi 700 ettari. E non è un caso che si stiano aprendo canali verso il Molise, il Piemonte, le Marche e la Basilicata.
“Serve confrontarci con i clienti – spiega il direttore della Op, Emanuele Flagella -, i quali chiedono tre cose su tutte: sanità del prodotto, paniere molto ampio e calendario lungo. Soltanto mettendo assieme realtà di produzione differenti si può riuscire a rispondere al meglio al mercato”. Finora, infatti, le Op garantivano forti specializzazioni, ma solo su singoli prodotti. La sfida per il futuro, invece, sembra essere quella di tenere assieme più colture possibili. “Puntiamo a creare un organismo che possa contenere al proprio interno tutta la filiera, compreso l’indotto – continua Flagella -. Difatti, uno dei problemi principali delle nostre aziende – solitamente piccole e medie – è quello della gestione della complessità delle produzioni e del mercato. Sinora, si iscrivevano a diverse Op, pagando quote diverse, per riuscire a soddisfare tutte le proprie esigenze. Noi puntiamo a snellire i processi ed i costi”. Per il momento, risulta essere la prima realtà di questo genere in Italia. La spinta propulsiva è arrivata proprio dalla Pac (Politica agricola comune) e dall’apertura ai nuovi Stati membri. “Fino al 2020 ci sarà una riduzione progressiva dell’integrazione che produrrà una perdita secca media progressiva fino al 30 per cento – spiega ancora Flagella -, una cifra che metterà in ginocchio molte aziende. Per questo, saranno sempre più importanti i costi di gestione, e su questo solo con delle organizzazioni di produttori efficienti si può riuscire a porre un’argine all’emorragia di reddito”.
Per il momento, a far parte dell’iniziativa, c’è l’industria “Icab La Fiammante” di Francesco Franzese, con una partecipazione – dalla preparazione del letto di semina al confezionamento degli ortaggi – la “La Bellortag” di Tobia Fascia, mentre il ritiro e trasformazione di uve e grano è affidato alla “Az Agricoltura” di Franco La Rotonda. “Tutto lascia comprendere – conclude il management della Op – che non possono più valere le logiche degli anni 80-90, per cui se non riuscivi a rientrare nei meccanismi perversi degli aiuti all’industria, eri spacciato. Stiamo cercando di cambiare. Del resto, i risultati cominciano già ad arrivare, visto che tra gli associati spiccano aziende che nel biennio hanno triplicato il loro fatturato..”. Ma la ragione vera è un’altra: vorrebbero rimanere “sul territorio”, per non essere “fagocitati” dalle altre Op più grandi, come quelle dell’Emilia Romagna. Soprattutto con le nubi all’orizzonte della nuova Pac, sulla quale si sono già scatenate polemiche di ogni genere.