“Un secolo d’amore per la città”. Questo il claim scelto dalla Fondazione Maria Grazia Barone per i 100 anni dalla morte della benefattrice foggiana, la cui traccia è viva nella casa di riposo e nelle tante iniziative legate ai beni del suo lascito, utilizzati solo sul versante della carità per gli indigenti e per gli anziani.
La storia e il ricordo di due donne: Maria Grazia Barone e la compianta Alba Mazzeo, che ha risollevato il buon nome dell’istituzione. Quest’oggi nel salone del palazzo in un convegno dedicato alla loro memoria, tenuta insieme dall’attuale presidente Clorinda Fiordelisi e dal direttore, l’ingegner Marcello Iafelice, si sono ripercorse le tappe delle due donne del secolo foggiano, anche grazie ai contributi dell’avvocato Francesco Andretta e del professor Saverio Russo, rispettivamente presidenti di Accademia di Belle Arti e Conservatorio.
LA STORIA
Nel 1918 Foggia era “la città dei notabili”, come efficacemente l’ha definita Franco Mercurio nel suo libro “Classi dirigenti o ceti dominanti?”, citato oggi da Saverio Russo.
“Deve il Comune cambiar fisionomia. Non può, non deve permanere in uno stato di abiettezza per colposa inerzia di coloro che avrebbero potuto far ricordare che Foggia è il centro intermedio delle industrie, commerci, arti e manifatture, di questa parte della regione meridionale d’Italia e, direi dell’Europa, se per barbata potenza non avesse fin qui difettato dei rami ferroviari”, osservava il marchesino di Rose lin ordine alla contrastata gestazione delle linee ferroviarie.
“Toccò ai proprietari terrieri foggiani – come Maria Grazia Barone – immaginare e gestire la città, imponendo una scala di priorità tutte rivolte a modernizzare quelle funzioni urbane ritenute essenziali. Il passaggio dalla centralità sociale della chiesa o della piazza a favore del circolo, della villa comunale e della passeggiata pubblica, del teatro dovevano diventare uno dei principali segnali del mutamento funzionale di Foggia in rapporto alla formazione del nuovo gruppo dirigente liberale, alla sua ascesa e alla sua visione della città”. Dal pietismo preunitario si arrivò ad uno spiccato filantropismo che metteva in luce l’esistenza di una forte eterogeneità sociale e che denotava Foggia come uno dei poli di aggregazione del reticolo urbano. La teatralità del potere si legava alla rifunzionalizzazione della città e al ruolo dirigente che la proprietà terriera aveva voluto assumere.
Negli anni post unitari di Scillitani, ha ricordato lo storico e accademico, Foggia aveva 40mila abitanti, con una platea di salariati fissi. Era una città con una gigantesca struttura produttiva. 249 sarti, 520 sarte, 270 cucitrici, 493 calzolai e ciabattini, 717 muratori, 489 falegnami, 300 ferrovieri, 224 cocchieri e poi tanti servitori domestici, fantesche e portinai. Solo 200 gli impiegati, il che denota, ha sottolineato Russo, che Foggia non era una città impiegatizia. Ben 223 le conduttrici di case di tolleranza per “maschi soli”. La prima piantina dell’epoca risale al 1894 col piano regolatore, la popolazione arrivò in pochi anni a 53mila abitanti, prima del grave colera.
Oggi la Fondazione Maria Grazia Barone è una filiera produttiva di gente che lavora per offrire la miglior cura ai 120 ospiti. Ma le iniziative per la celebrazione del centenario non saranno rivolte solo all’interno, agli ospiti e alle loro famiglie, la Fondazione, come ha annunciato l’ingegner Iafelice vuole assumere un ruolo guida nel dibattito pubblico cittadino sulla terza età e sul welfare. In 50 anni gli over 65 da 10mila sono diventati 32mila, triplicandosi.
“La nostra azione non vuol essere limitata ai 120 ospiti o agli anziani indigenti così come voleva la nostra fondatrice. Vogliamo porci come motore di una indagine conoscitiva sull’autosufficienza della popolazione anziana, con un focus sugli ultra 75enni, per intercettare i bisogni di che ha anche necessità spicce. Lavoreremo col dottor Michele Mazzone e con la professoressa Fiammetta Fanizza, ma la nostra non sarà un’azione di marketing per la Fondazione”, ha voluto specificare Iafelice dinanzi al dottor Paolo Telesforo, grande player del settore delle residenze socio sanitarie per anziani e non, un segmento di mercato in grande ascesa e assai competitivo e redditizio con l’invecchiamento demografico tanto da essere al Sud il più bancabile.
LA TECNOLOGIA
Tra le innovazioni che partiranno nell’anno del centenario c’è la sperimentazione di una tecnologia, un “apparecchietto”, come lo ha chiamato Iafelice, targato KnowK dell’imprenditore Sergio Venturino in sala, che permetterà ad ogni ospite di comunicare costantemente col personale socio sanitario. Grazie a questo sensore, l’infermiere potrà sapere tutto dell’anziano, non è un semplice salvavita o gps, ma un acceleratometro con contapassi, che consente di sapere se l’anziano è caduto o se si sta allontanando o se sta male. “I nostri ospiti non sono mai legati ai letti, questo apparecchio sarà più di una richiesta di sos, ma una garanzia di immediata risposta. Lo stiamo testando, se il sistema avrà una sua commercializzazione sarà venduto”.
TEMI ETICI
La Fondatrice ha lasciato una profonda impronta cristiana e caritatevole. Per questo il CdA lancerà dei momenti di riflessione sulla cura, sull’accanimento terapeutico e sull’eutanasia.
Proprio in occasione del centenario della sua morte, la Fondazione Maria Grazia Barone ha allestito una mostra fotografica, visitabile fino al 12 gennaio 2019, realizzata da Alessandro Cupaiolo e Lucia Pompa, laureati dell’Accademia di Belle Arti di Foggia, che hanno voluto raccontare da un punto di vista inedito e originale la vita degli ospiti della Residenza Socio Sanitaria Assistenziale e della Casa di Riposo.
“Unconventional time” è il titolo del lavoro di Cupaiolo sulle attività ludiche e ricreative, mentre si chiama “Titina, una bella storia semplice”, la raccolta di foto di Pompa sulla simpatica ospite Concetta D’Agostino, una delle quali in mostra in Cina per una esposizione di accademie internazionale.
Negli anni i 1260 ettari di grano della Fondazione hanno messo a frutto una produzione di pasta di nicchia con la collaborazione della professoressa Zina Flagella dell’Unifg, degli agronomi Marcello Martino e Francesco Grifoni e di un pastaio di Sulmona.
IL RICORDO DI ALBA MAZZEO
Affidato all’Arcivescovo Vincenzo Pelvi il ricordo del notaio Alba Mazzeo, che si è rifatto alle parole di Papa Francesco. “Per capire una donna bisogna sognarla”. “Alba aveva una grammatica vitale, una modalità espressiva semplice. Amava le persone con le loro povertà e ferite, nei suoi gesti e nelle sue scelte si percepiva l’antica arte del ricamo, sapeva risanare i rapporti difficili e complessi, le lacerazioni, gli strappi di ingiustizia. Pesava le parole. Era una donna sola e non le mancavano momenti di angoscia, di pianto. Era una solitudine imposta dal ciclo della vita, è stata anche poco tutelata, ha dovuto subire attacchi pervasivi, ma la sua dolcezza femminile si è mescolata sempre al coraggio della verità. La qualificata prestazione si è sempre individuata nello spazio della gratuità. Alba andava oltre il protocollo, che va cucito addosso a ciascuna persona. Umanizzava la cura, perché la spiritualità rappresenta per tanti ospiti una urgenza della fragilità dell’età. Alba non agiva mai sola ma sempre a nome dell’istituzione, viveva come inviata. Diceva che la relazione interpersonale è una relazione a tre: tra me e l’ammalato, l’ospite, l’anziano c’è sempre una terza persona, il Signore Gesù”.
In tal senso la presidente Fiordelisi rintraccia la differenza tra Fondazione Maria Grazia Barone e le altre rssa. “Qui c’è affettuosità, una relazione forte con la città”, dichiara a l’Immediato.