di FRANCESCO PESANTE
C’era mafia nelle estorsioni del clan. La magistratura ha riconosciuto l’aggravante del metodo mafioso nel processo “Tre Moschettieri”. Dopo la decisione dei giudici del Tribunale di Foggia che nel marzo 2015 avevano condannato alcuni elementi di spicco della mala di Vieste ma senza l’aggravante mafiosa, la seconda sezione della Corte d’Appello di Bari ha riformato quella sentenza rideterminando la pena agli imputati. Ritenendo valida la circostanza dell’aggravante del metodo mafioso (di cui all’art.7 L. 203/91), i giudici hanno condannato a 7 anni di reclusione e 2.600 euro di multa, Luigi Notarangelo, a 6 anni e 8 mesi, e 2.000 euro di multa Giuseppe Notarangelo, infine 3 anni e 4 mesi e 1.000 euro di multa (riconosciute le attenuanti generiche) a Girolamo Perna che in primo grado incassò 5 anni. I due Notarangelo, invece, in primo grado erano stati condannati a 6 anni.
È solo la seconda volta che la magistratura riconosce la presenza del metodo mafioso nel mondo della malavita viestana. Prima di oggi era successo nel luglio 2017 quando venne condannato a 7 anni e mezzo di carcere Giambattista Notarangelo nell’ambito del processo “Medioevo”, riguardante il racket agli imprenditori turistici della “capitale del Gargano”. Ma quella di oggi è per certi versi una sentenza storica visto il numero ma soprattutto il peso degli imputati – tra i quali figurava anche il boss Angelo “cintaridd” Notarangelo, morto ammazzato nel gennaio 2015.
I TRE MOSCHETTIERI
I “moschettieri” in questione sono Angelo “cintaridd” Notarangelo, ucciso oltre tre anni fa e Giuseppe e Luigi Notarangelo, rispettivamente fratello e cugino del defunto capo clan. I tre, assieme al sodale Girolamo Perna (oggi ritenuto vicino al gruppo di Marco Raduano), furono arrestati e infine condannati per le estorsioni al villaggio “Merino” e al ristorante “Pane e Pomodoro”.
Ci fu grande delusione nel mondo dell’Antiracket dopo la sentenza di primo grado del 2015, quando l’aggravante mafiosa cadde rovinosamente. Una notizia inaspettata giunta poche settimane dopo la morte di Notarangelo, ucciso proprio nell’ambito della guerra di mafia tra gruppi criminali di Vieste. Durante il processo ai “Tre Moschettieri” emersero quattro presunte false testimonianze da parte di quattro testi, due citati dalla difesa, due dal pm. Gente che durante gli interrogatori disse “di non aver visto e sentito nulla”.
Il processo ai “Tre Moschettieri” prese il via grazie alla denuncia del titolare di un esercizio commerciale garganico che denunciò le estorsioni tentate e consumate dal clan Notarangelo. Il processo scaturì dall’operazione del 19 luglio 2013 che portò all’esecuzione di quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti del boss “cintaridd”, capo dell’omonimo clan operante nell’area garganica e di altri tre dei suoi soldati più fidati: il fratello Giuseppe, il cugino Luigi e Girolamo Perna.
L’accusa fu quella di estorsione continuata ed aggravata dal metodo mafioso ai danni di imprenditori turistici viestani che, dopo anni di soprusi, ebbero il coraggio di denunciare i continui taglieggiamenti posti in essere dal gruppo criminoso. A ribellarsi furono Graziano e Matteo Desimio di “Pane e Pomodoro”, seguiti in un secondo momento anche dal fratello Pierino del villaggio “Merino”. Una denuncia facilitata anche dalla presenza dell’Antiracket a Vieste. L’attività estorsiva dei Notarangelo riguardò il periodo da marzo 2008 fino a settembre 2011. Inizialmente colpendo il villaggio turistico della zona e, da luglio 2011, anche il ristorante. I gestori di quest’ultimo ebbero subito il coraggio di denunciare i malviventi favorendo l’operazione delle forze dell’ordine. Le vittime erano spesso costrette a versare dai 1000 ai 1200 euro al mese.
Il precedente
Come detto, il metodo mafioso fu riconosciuto solo un’altra volta nelle estorsioni sul Gargano Nord. Successe nel luglio 2017 quando sempre la Corte d’Appello di Bari condannò Giambattista Notarangelo a 7 anni e mezzo di carcere per estorsione, aggravata dal metodo mafioso, nei confronti dei titolari di un villaggio vacanze. In “Medioevo” emerse il sistema estorsivo dei clan di Vieste ai danni degli imprenditori locali. Fu proprio da quel procedimento che iniziò la sfilata in tribunale delle vittime del racket per denunciare il malaffare. E fu per “Medioevo” che nacque l’associazione Antiracket nel centro garganico.
Fu condannato in quel procedimento anche il giovane boss Marco Raduano: per lui 7 anni di reclusione. All’epoca dei fatti, Raduano detto “faccia d’angelo” o “pallone” era braccio destro di Angelo “cintaridd” Notarangelo. Circa dieci le estorsioni raccontate nella maxi inchiesta.
La decisione presa dai giudici baresi a scapito di Giambattista Notarangelo rappresentò un momento di assoluto rilievo nella storia della criminalità organizzata del Gargano Nord se si considera che in passato l’aggravante del metodo mafioso era sempre caduta miseramente.