Un autentico scandalo ambientale si è abbattuto sulla Puglia e non solo. Sequestrati in località Cerano (Brindisi) la centrale termoelettrica di Enel Produzione Spa e a Taranto lo stabilimento di Cementir Spa oltre alcuni compendi aziendali di Ilva Spa. Nei confronti di Enel Produzione Spa c’è anche un sequestro per equivalente dell’ingiusto profitto pari a mezzo miliardo di euro.
Parte dalla Procura di Lecce e si estende a tutta la Puglia ma anche fuori regione, l’operazione “Araba Fenice”, condotta dai militari della Guardia di Finanza. Un vero bubbone quello scoperchiato dalle Fiamme Gialle che tocca anche la provincia di Foggia.
Approfondimenti investigativi, esperiti anche avvalendosi di intercettazioni telefoniche e telematiche, sono stati corroborati dagli esiti di una perizia tecnica disposta dalla Procura e dalle risultanze di analisi chimiche che hanno consentito di accertare che le materie prime utilizzate da “Cementir Italia S.p.A.” per la produzione di cemento e acquistate dall’Ilva S.p.A. e dallo stabilimento Enel di Cerano non erano conformi agli standard richiesti dalle normative vigenti.
Infatti, la loppa d’altoforno, venduta dall’Ilva alla Cementir è risultata presentare criticità connesse alla commistione della stessa con scarti/rifiuti eterogenei (scaglie di ghisa, materiale lapideo, profilati ferrosi, pietrisco e loppa di sopravaglio) che ne inficiano la capacità di impiego allo stato tal quale nell’ambito del ciclo produttivo del cemento.
Nel decreto di sequestro i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Taranto hanno mappato tutti i cementifici che hanno accolto i residui di ceneri nei propri impianti derivanti dall’abbattimento dei fumi di combustione non solo del carbone ma anche grazie alla miscelazione con i residui di altri combustibili. Si parla di quasi 94mila tonnellate. I sequestri hanno coinvolto tutte e le province pugliesi ma anche Basilicata, Veneto e Abruzzo. L’elenco completo comprende la Betoncifaldi di Cerignola; la Betoimpianti spa, di Acquaviva delle Fonti; la Caivano calcestruzzi, a Tito (in provincia di Potenza); le sedi della Calcestruzzi spa con sedi ad Acquaviva, Bari, Bisceglie, Fasano, Francavilla Fontana, Lecce, Manduria, Matera, Ostuni, San Giorgio Jonico, Taranto, Triggiano.
E ancora: la Ciccarese Calcestruzzi, di Copertino; la Colacem, di Galatina; la Conglobix, di Foggia; il Consorzio Cetma, di Brindisi; Fratelli Coricciti, a Martano; la Inerti Sangro srl, di Atessa, in Abruzzo; la Italcementi, di Matera; la Italiana Calcetruzzi, di Mesagne; la Palmitessa Supercalcetruzzi, di Mesagne; la Pinto srl, di Aliano (in provincia di Matera); la Salice Calcestruzzi, di Foggia; la Specal, di Deliceto; la Unicalcestruzzi, con sedi a Barletta, Cerignola, Foggia, Manfredonia, San Giovanni Rotondo, San Severo e Trani.
“Le condotte illecite – si legge nel decreto di sequestro – hanno avuto, quanto meno nella prospettiva del “produttore” Enel un raggio d’azione ben più ampio estendendosi a tutte le analoghe operazioni di commercializzazione degli stessi materiali compiute nei confronti di altri cementifici disseminati sul territorio nazionale; operazioni che arricchiscono il già nutrito compendio indiziario delineando una modalità operativa che, in considerazione dei quantitativi di rifiuti in discussione stimati in oltre 90mila tonnellate solo per il biennio 2016-2017, della cadenza quotidiana e certamente continuativa delle cessioni di questi materiali assume una connotazione sintomatica di una strategia imprenditoriale orientata allo spregiudicato risparmio degli oneri correlati al corretto smaltimento dei rifiuti derivanti dal proprio ciclo produttivo”.
LA POSIZIONE DI ENEL PRODUZIONE
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