“Gli chiesi cosa volessero da me, che ero pronto a fare tutto purché lasciassero in pace la mia famiglia”. Queste le parole di Alfonso Capotosto, 35 anni (in foto), pentito della mafia foggiana (caso più unico che raro) che ha iniziato a collaborare a gennaio di quest’anno da una località protetta. L’uomo, un tempo vicino al clan Moretti-Pellegrino-Lanza (batteria della “Società Foggiana”), nel 2015 decise di collaborare con la giustizia salvo poi ritrattare per paura di ritorsioni contro i parenti.
Lasciò Foggia con la scusa di voler cambiare vita, in seguito tornò in città per chiarirsi con alcuni uomini del clan e proteggere i familiari. “Potete anche ammazzarmi ma lasciate stare la mia famiglia perché non c’entra niente in mezzo ai fatti nostri. Mi fu risposto – ha riferito il 35enne agli inquirenti – che non c’era alcuna intenzione di far del male ai miei parenti. Mi assicurarono che mi avrebbero dato dei soldi però gli dovevo fare un piacere”.
Un favore non da poco visto che gli fu chiesto di attirare in una trappola due poliziotti in via San Severo. “Ma io non voglio stare in mezzo a queste cose, risposi”. Capotosto ha riferito di non sapere con esattezza cosa volessero fare gli uomini del clan ai due agenti ma è quasi certo che volessero eliminarne uno in particolare. D’altronde già in un’altra inchiesta contro la mala locale, emerse – in alcune intercettazioni – la volontà di alcuni malavitosi di uccidere un ispettore.
“Voglio fare tutti i piaceri che volete ma questo non posso farlo. Non mi dite niente”. A quel punto fu costretto a ritrattare tutto. “Devi firmare un verbale dove dichiari di esserti inventato tutto perché non stavi bene e avevi fumato”. Così fece. Il 35enne si recò in caserma dai carabinieri ritirando quanto aveva iniziato a raccontare agli investigatori.
Ma ad ottobre 2016, nel blitz “Reckon”, Capotosto finì in manette per traffico di droga insieme al boss Pasquale Moretti e ad altri sodali del clan. Successivamente la decisione – l’ennesima – di pentirsi, iniziando una costante collaborazione con la giustizia. Nell’ambito del processo seguente a quell’operazione, i giudici stanno vagliando la veridicità della testimonianza di Capotosto che in questi mesi ha fornito numerosi spunti agli inquirenti. Ha persino fornito una sorta di “bibbia” della malavita foggiana con dentro nomi e aziende vittime di usura e altre dritte relative al business della droga.