Perché i cervelli devono fuggire e perché devono tornare. Questo è il tema della quarta giornata del Festival della ricerca e dell’innovazione 2017 dell’Università di Foggia, svoltosi questa mattina al Teatro comunale Umberto Giordano. Una conversazione scientifica con il professore Riccardo Dalla Favera e Nicola Delle Noci, preside della Facoltà di Medicina dell’Università di Foggia.
Classe 1951, Dalla Favera è uno scienziato ritenuto un’eminenza nello studio dei linfomi. Direttore dell’Institute for Cancer Genetics della Columbia University dal 1999, opera, invece, in America dal 1978, dove si dedica alla ricerca sulle leucemie e i linfomi. Un luminare che ha raccontato la sua esperienza di “viaggio”, conversando con gli studenti riuniti in platea e nei palchi del teatro.
“Molte malattie oggi sono curabili o comunque gestibili mentre una volta si moriva. L’esempio più chiaro è dato dall’età media dell’uomo che è aumentata notevolmente negli ultimi secoli – ha detto Della Favera -. Diverse aree della medicina, dalla chirurgia alle malattie infettive sono migliorate. Pensiamo all’Aids, prima era mortale, ora invece, è diventata gestibile. In sintesi è cambiato il volto in sè della malattia incurabile. Dico sempre che se ci sono voluti sei anni per sviluppare un medico, ce ne sono altrettanti, se non più, per sviluppare un ricercatore. È importante che i giovani capiscano che è giusto dedicare tempo alla formazione e non ai successi con la sola finalità di aumentare i curriculum.
Un consiglio che mi sento di dare ai giovani ricercatori – ha proseguito – è che la ricerca è una dedizione, una passione. Se si vuole perseguirla bisogna avere la consapevolezza che mentre i clinici la sera vanno a casa sapendo di aver fatto qualcosa, per i ricercatori non è la stessa cosa poiché possono passare anni prima di ottenere i frutti di ciò in cui si è contribuito. La ricerca ha molti periodi bui, solo la passione aiuta ad andare avanti con la convinzione che quello è il mestiere che si vuole fare”. Uno scambio di domande e risposte tra l’illustre professore e i giovani liceali e universitari. “La fuga dei cervelli viene vista soprattutto in senso negativo. Invece direi che nel mondo moderno bisogna aspettarsi che i giovani, specialmente nella ricerca, cerchino all’estero un’esperienza completa di esposizione a vari sistemi. È vero che in Italia è preoccupante non tanto il numero dei giovani che vanno all’estero, quanto i pochissimi che sono disposti a ritornare, specialmente quelli più bravi. Negli Usa e in altri Paesi europei, coloro che si affermano rimangono lì. In termini di competenza e di talento, l’Italia non è seconda a tante nazioni. Da noi è più un problema organizzativo, perché l’Università non è ancora basata sulla meritocrazia”.
Dopo la laurea, Della Favera è partito da Milano per gli Usa direzione Bethesda, quartier generale dei National Institutes of Health. Un biglietto di sola andata fino alla prima scoperta, nel 1982, del primo gene alterato nei linfomi. “Un momento culturale importante per gli studenti della città”, ha commentato nei saluti finali il direttore generale dell’Unifg, Teresa Romei insieme al professore Cristoforo Pomara.