In un anno da luglio del 2015 ad oggi nei porti pugliesi sono stati scaricati oltre 2milioni di tonnellate di grano estero per fare pane e pasta ‘made in Italy’. Sono quadruplicate le importazioni (+315%) dall’Ucraina che è diventato nel 2016 il terzo fornitore di grano tenero per la produzione di pane, mentre per il grano duro da pasta il primato spetta al Canada che ha aumentato del 4% le spedizioni. E’ quanto emerge dal Dossier presentato dalla Coldiretti nel corso del blitz di migliaia agricoltori nella Capitale davanti al Ministero delle Politiche Agricole. Complessivamente le importazioni di grano duro e tenero in Italia – sottolinea la Coldiretti – sono aumentate del 14% nel primo trimestre del 2016 rispetto all’anno precedente ma la dipendenza dall’estero determinata dall’insufficiente remunerazione della produzione nazionale potrebbe ulteriormente aggravarsi.
“Il ‘grano giramondo’ ha contribuito a far crollare del 42% i prezzi del grano pugliese – ha denunciato il presidente di Coldiretti Puglia, Gianni Cantele, a capo degli agricoltori pugliesi a Roma – perché il grano cattivo scaccia quello buono”. Siamo all’assurdo, un caffè costa quanto 15 chili di grano. È il risultato delle scelte poco lungimiranti fatte nel tempo da chi ha preferito fare acquisti speculativi sui mercati esteri di grano da “spacciare” come pasta o pane Made in Italy, per la mancanza dell’obbligo di indicare in etichetta la reale origine del grano impiegato. Un comportamento reso possibile dai ritardi nella legislazione comunitaria e nazionale che non obbliga ad indicare la provenienza del grano utilizzato in etichetta. Un pacco di pasta su tre è fatto con grano straniero, così come la metà del pane in vendita, ma i consumatori non lo possono sapere perché non è obbligatorio indicare l’origine in etichetta”.
Da pochi centesimi al chilo concessi agli agricoltori dipende la sopravvivenza della filiera più rappresentativa del Made in Italy, mentre dal grano alla pasta i prezzi aumentano di circa del 500% e quelli dal grano al pane addirittura del 1400%.
Coldiretti chiede risposte immediate, quali l’etichettatura obbligatoria della pasta, del pane e dei prodotti da forno in genere, il blocco delle importazioni a dazio 0 e il 100% dei controlli sul grano importato, la moratoria bancaria ed interventi finanziari per le imprese cerealicole, l’attivazione immediata della CUN nazionale cerealicola e sostegni pubblici solo alle imprese che lavorano grano italiano.
“Fare pasta con grano 100% italiano si può – ha aggiunto il direttore di Coldiretti Puglia, Angelo Corsetti – come ampiamente testimoniato dalla rapida proliferazione di marchi che garantiscono l’origine italiana del grano impiegato al 100%. Parliamo di un percorso che è iniziato nei primi anni della crisi sotto la spinta dell’iniziativa del progetto di Filiera Agricola Italiana (FAI) che si è esteso ad alcune etichette della grande distribuzione da Coop Italia a Iper, ai marchi più prestigiosi quali Ghigi, Valle del grano Jolly Sgambaro, Granoro, Armando, fino all’annuncio dello storico marchio napoletano “Voiello”, che fa capo al Gruppo Barilla, che ora vende solo pasta fatta da grano italiano al 100% di varietà “aureo””.
Attualmente a livello globale la quantità di grano prodotto più quello stoccato (pari complessivamente a 44,1 milioni di tonnellate) supera abbondantemente i consumi (37,4 milioni). Tutto ciò oltre a mantenere il prezzo del grano basso, fa emergere il giustificato dubbio che parte del grano importato arrivi in Italia con alle spalle già tempi lunghi di stoccaggio. Il pericolo di micotossine nel frumento aumenta dopo i 18 mesi di stoccaggio.
A pesare sono le importazioni in chiave speculativa che – precisa la Coldiretti – si concentrano nel periodo a ridosso della raccolta e che influenzano i prezzi delle materie prime nazionali anche attraverso un mercato non sempre trasparente. L’Italia nel 2015 – ricorda la Coldiretti – ha importato circa 4,3 milioni di tonnellate di frumento tenero mentre sono 2,3 milioni di tonnellate di grano duro che arrivano dall’estero.
Le 6 mosse del ministro Martina
L’attesissimo Tavolo di filiera sul grano duro, tenutosi questa mattina a Roma, ha visto il ministero dell’Agricoltura puntare su sei azioni per uscire dalla crisi del comparto e superare la cosiddetta “guerra del grano”. Il ministro Maurizio Martina, raccogliendo gli spunti parlamentari giunti soprattutto nelle ultime settimane, ha stabilito di creare un fondo da 10 milioni di euro inserito nel decreto legge Enti locali, ovvero un primo stanziamento per dare avvio a un organico piano nazionale cerealicolo e sostenere investimenti anche infrastrutturali per valorizzare il grano di qualità 100% italiano; di creare una Cun (Commissione unica nazionale) per il grano duro con l’obiettivo di favorire il dialogo interprofessionale e rendere più trasparente la formazione del prezzo nonché di confermare gli aiuti accoppiati europei Pac per il frumento che equivalgono a circa 70 milioni di euro all’anno fino al 2020 per quasi 500 milioni investiti nei 7 anni di programmazione. Inoltre, Martina prevede il rafforzamento dei contratti di filiera per proseguire negli investimenti che hanno visto 50 milioni di euro impiegati dalla filiera cerealicola con nuovi bandi in autunno per un budget totale di 400 milioni di euro (metà in conto capitale e metà in conto interessi), marchio unico volontario per grano e prodotti trasformati per dare maggiore valore al grano di qualità certificata che rispetti il disciplinare del sistema di qualità della Produzione integrata e risponda a determinati requisiti organolettici e, infine, sperimentazione dalla prossima campagna di un nuovo strumento assicurativo per garantire i ricavi dei produttori, proteggendoli dalle eccessive fluttuazioni di mercato. Un modello dipinto come innovativo, attualmente allo studio e che verrà presentato alla Commissione Ue per il via libera.
“Finalmente il ministro si è svegliato. È da tempo che chiediamo azioni concrete per il comparto ed attendere che la crisi giungesse al parossismo, con le aziende già sul lastrico, non ci è sembrata la scelta più saggia. Ma almeno Martina ha interrotto il suo silenzio di parole e fatti – commenta il deputato Giuseppe L’Abbate, capogruppo M5S in Commissione Agricoltura a Montecitorio – Il piano cerealicolo, infatti, impiegherà degli anni per ottenere i primi risultati a causa del tempo perso inutilmente sino ad oggi. Finalmente si aprirà la Cun sul grano duro e, quindi, praticamente l’unica misura concreta che in realtà potrà dare un minimo di ristoro immediato ai produttori e trasparenza nella filiera l’ha fatta il Movimento 5 Stelle da opposizione. Speriamo che il ministro Martina ci ascolti con più costanza così da poter cambiare qualcosa – prosegue L’Abbate (M5S) – in un settore primario dove le azioni sono attese da tantissimi anni e che vede l’immobilismo anche di questo Governo. Purtroppo, però, non è stata spesa neppure una parola per la ricerca, quando questo mondo e quello produttivo devono necessariamente andare a braccetto per cercare di garantire un futuro roseo al comparto. Bisogna comprendere, infine, – conclude il deputato pugliese 5 Stelle – se nel Piano cerealicolo che ha in mente Martina (sinora una scatola vuota a dire il vero) è stato inserito o meno il Piano proteico che devono andare di pari passo per garantire la giusta alternanza nello sfruttamento del terreno”.