Prezzi confermati senza l’incontro tra le parti (produttori e mugnai). Forze dell’ordine dinanzi all’ingresso della Camera di commercio di Foggia, in Viale Fortore. È sempre più teso il clima nella complessa “guerra del grano” che sta piegando l’agricoltura pugliese. Le importazioni, le leggi di mercato, la sovrapproduzione e il basso valore proteico rappresentano un mix micidiale. “Non possiamo vendere il grano a 15 centesimi al chilo mentre il pane costa 3-4 euro. L’anno scorso vendevamo a 35 centesimi. Così non ripaghiamo nemmeno i costi di produzione”, commenta Roccia, un’agricoltore di Ascoli Satriano. La forbice ampia tra il prezzo della materia prima e della semola fa rabbia. Nella saletta dove si decide il listino dei prezzi, oggi si sono presentati solo in 3, tutti in rappresentanza della parte industriale (tra questi Giovanni Pece). Mentre fuori tutti protestavano per la “scarsa trasparenza delle operazioni di decisione”. Michele Villani, vicepresidente della commissione e referente settoriale, risponde alle accuse: “Perché gli agricoltori non ci trasmettono i contratti che fanno? Perché non dicono a quanto vendono? Il problema è che quest’anno la resa è raddoppiata, si è passati da 30 a 60 quintali per ettaro, mentre la qualità si è abbassata. Che dice il mercato in questi casi? Dice che il prezzo inevitabilmente cala. Capisco che gli agricoltori sono penalizzati, ma i mulini hanno bisogno di grano con proteine. Questo è il quadro, non possiamo discutere serenamente con persone che inveiscono e gridano alla prima occasione…”.
La “crisi di sovrapproduzione”
La crisi di sovrapproduzione e la scarsa qualità del grano è confermata da commercianti e stoccatori, presenti all’incontro di oggi. “È vero che i prezzi della Camera di commercio non rispecchiano il mercato, i mulini stanno ritirando a 17-18 euro al quintale. I listini non stanno né in cielo né in terra – spiega Francesco La Rotonda -, questo dimostra ancora una volta la necessità di trasparenza nelle procedure. Ormai è tutto pieno, nessuno riceve più telefonate: sembra non ci sia più bisogno del grano italiano”. Per capire quanto sia importante la “qualità” nella vendita, basti pensare – come spiegato da un commerciante abruzzese, Giovanni Ortolano, presente sul mercato foggiano – che “il grano canadese, con 14 di proteine, si trova anche a 23 euro, mentre il prodotto della Capitanata mediamente ha un valore proteico di 11, con una parte importante della produzione sotto i 10, valori qualitativi davvero bassissimi…”.
La “guerra” sul tavolo del ministro
C’era anche la politica all’incontro, con la produttrice Tonia Dileo (M5S): “Chiediamo criteri oggettivi per la definizione del prezzo, non soggettivi. Chiediamo anche chiarimenti sulla differenza di prezzo tra semola e materia prima. Stamattina, peraltro, ci hanno interdetto l’accesso alla Camera di commercio: si può avere questo atteggiamento in un ente pubblico nei confronti di chi partecipa con quote associative?”. La questione è già arrivata sui tavoli romani, con un question time al ministro Maurizio Martina. La Coldiretti sarà invece ospitata in commissione agricoltura: “Domani racconteremo ai componenti della XIII Commissione Agricoltura della Camera cosa avviene quotidianamente nei porti di Puglia, di quanto è stato deprezzato il grano locale passato da luglio 2015 ad oggi da 36 a 18 euro al quintale pari a -50%, come funzionano le borse merci italiane. Chiederemo che vengano affrontate in maniera drastica le tre storture fondamentali che condizionano l’andamento del settore, quali l’assoluta mancanza di norme che regolano il mercato, come l’etichettatura di origine obbligatoria e la tracciabilità delle produzioni, le importazioni speculative e il divario dei prezzi corrisposti alla produzione rispetto al consumo”.
“La inaccettabile remunerazione del prodotto locale – aggiunge il direttore di Coldiretti Puglia, Angelo Corsetti – è direttamente collegata all’import non stop di grano dall’estero che continua ad invadere quotidianamente i porti di Bari, Manfredonia e Barletta. Le importazioni selvagge evidenziano una grave dipendenza del sistema industriale dall’estero. Serve l’etichettatura obbligatoria di pasta e pane che informi sulla provenienza geografica, perché c’è bisogno di uno strumento forte di protezione dei prodotti, nonché di garanzia per i consumatori, che avranno quanto meno l’opportunità di fare scelte di consumo consapevoli, potendone premiare la qualità. Importante che il prossimo tavolo cerealicolo regionale approdi ad un accordo di filiera tra le parti che preveda un prezzo del grano mai al di sotto dei costi di produzione”.