Informatori, spie, minacce a chi non riga dritto. Nella “Gomorra foggiana” della droga emerge il ruolo primario del clan Sinesi-Francavilla, in grado di non lasciare nulla al caso. Nell’inchiesta che ha svelato le estorsioni agli autotrasportatori nel parcheggio dell’azienda di trasformazione del pomodoro “Princes”, spunta anche il filone che porta alla cocaina. Secondo il gip Oliveri del Castillo che firma le 180 pagine dell’ordinanza, l’organizzazione criminale diretta da Roberto Sinesi si occupa di molteplici attività illecite nella città di Foggia. Tra queste il traffico di droga, gestito principalmente dal 45enne Luciano Cupo (detto “cupptill”) e dal 40enne Luigi Biscotti, rispettivamente uomo di fiducia e nipote del boss.
Durante una conversazione, Cupo viene intercettato mentre si trova nella propria auto. Con lui una donna che si lamenta perché i soldi della droga che le aveva ceduto era andato a pretenderli Biscotti, definito “un pazzo” per i suoi modi spicci di pretendere qualcosa.
Presente alla conversazione anche un uomo, debitore del clan. Doveva a Cupo 800 euro, frutto di due “panette di fumo” (hashish, ndr) che gli aveva ceduto. Ma l’uomo replica alle richieste di Cupo affermando di dover cedere al clan solo 540 euro e che si stava impegnando a racimolare il denaro. Sia l’uomo che la donna si lamentano perché a causa dell’ingente numero di spacciatori presenti a Foggia, era diventato difficile spacciare la sostanza stupefacente e quindi poter ripagare i debiti contratti.
Dall’ordinanza emergono alcuni problemi nella gestione della piazza dello spaccio. Cupo, dopo aver appreso da Biscotti che Nicola Delli Carri (33 anni) stava spacciando cocaina in città senza essere “autorizzato”, invita il giovane a non insistere in quanto la sua attività non era gradita “ai grandi” (il boss Roberto Sinesi, detto “lo zio”).
In una intercettazione si sente Cupo dire a Delli Carri: “Lo dico per il tuo bene… perché me lo sono… sono venuti un’altra volta… me lo ha fatto dire davanti a me… poi dice che io sono cattivo… sono malamente… se lo vengono a sapere gli altri… ha detto: è peggio ancora… allora è meglio che se è… ha detto: mo diccelo tu… ho detto: dopo ci parlo io… se lo fa… lo deve finire… lo deve finire”. Cupo riferisce a Delli Carri quanto appreso da Biscotti. Quest’ultimo, infatti, era particolarmente infastidito dal giro di spaccio messo in piedi da Delli Carri. A Cupo, quindi, il compito di fermare sul nascere ogni attività.
“Perchè ti devi inguaiare per la 50, per la 100 euro…” gli dice ancora Cupo. “Perchè questi qua sopra questi fatti fanno proprio male alle persone… io lo so… io ho detto “ai grandi” che mo me la vedo io… Nicola è roba mia, ci parlo io….” E ancora: “Per il fumo non ci sta nessun ordine… è la bianca (la cocaina, ndr) che qua davanti… né la devi dire e né la devi fare…” Cupo dice a Delli Carri che se doveva prendere la cocaina per spacciare, la doveva acquistare dove dicevano loro. E basta.
Per i giudici, Cupo e Biscotti sono senza dubbio “soggetti in grado di controllare il territorio tanto da essere messi al corrente persino di piccoli episodi di spaccio” come nel caso di Delli Carri. Inoltre sono ritenuti soggetti “ammessi al cospetto dei ‘grandi’ e, come tali, in grado di assicurare eventuali reazioni punitive in caso di inosservanza delle regole nel mercato della droga”.
In un’altra conversazione, Biscotti redarguisce Michele De Leo (pregiudicato foggiano per spaccio di droga) reo di aver ceduto 10 grammi di cocaina a un ragazzo “che sta con Danilo”. Biscotti gli riferisce che a quel ragazzo non doveva dare niente perché si era messo contro il cugino. De Leo, rammaricato, gli assicura che non sarebbe più accaduto.