“Nel centro cittadino di Foggia è in pieno svolgimento una feroce guerra di mafia che vede contrapposte le due storiche fazioni mafiose esistenti sul territorio, ossia il clan Moretti-Pellegrino-Lanza e il clan Sinesi-Francavilla, scontro finalizzato all’affermazione di un ruolo egemonico nel controllo del territorio”. Lo scrive il Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari, Roberto Rossi nelle 102 pagine dell’ordinanza sugli arresti nella mafia foggiana.
L’attuale procedimento penale riguarda prevalentemente i sodali del gruppo Moretti che, nonostante la detenzione dei vertici dell’associazione (Rocco Moretti, Pasquale Moretti e Vincenzo Pellegrino, ndr), a seguito degli agguati effettuati ai danni di Mario Piscopia e Vito Lanza, decidevano di intraprendere una nuova guerra di mafia contro i criminali appartenenti alla consorteria avversa dei Sinesi.
Secondo il pm, vista l’attuale detenzione dei due Moretti e di Pellegrino, “il clan è senz’altro retto attualmente da Vito Lanza e dai figli Leonardo e Savino”. Questione che analizzeremo meglio più avanti.
La Direzione Distrettuale Antimafia, sta conducendo una complessa indagine nell’ambito di vari procedimenti penali. Le indagini, consistenti in intercettazioni telefoniche ed ambientali, nonché pedinamenti ed appostamenti, sono scaturite a seguito della guerra di mafia esplosa nel centro cittadino di Foggia negli ultimi mesi, che ha visto susseguirsi i tentati omicidi di Piscopia, Lanza, Angelo Bruno e Michele Bruno, i primi due e l’ultimo pregiudicato organici al clan Moretti mentre Angelo Bruno e Mimmo Falco sodali dei Sinesi.
Nelle conversazioni intercettate, presenti nell’ordinanza, è evidente che coloro i quali materialmente detenevano e trasportavano le armi del clan erano Alessandro Moretti (nipote di Rocco) e Francesco Abruzzese (entrambi arrestati oggi), ma dall’analisi di tutta l’informativa è evidente che le armi appartenevano a tutto il clan criminale e venivano utilizzate per i fini dell’associazione”.
La “promessa” all’ispettore Sanna
Dal telefono intercettato ed in uso ad Alessandro Moretti partì inavvertitamente una telefonata diretta verso il cellulare del padre. Si riconobbero le voci di Alessandro Moretti e Francesco Abbruzzese che proferiscono frasi inizialmente non comprensibili.
Moretti Alessandro: …..incomprensibile…….
Abbruzzese Francesco: ….a detto u………….io sono un killer!….a tè ciaccanill’ (incomprensibile)
Moretti Alessandro: …(…ride….)……incomprensibile …….più o meno….
Abbruzzese Francesco: “…..bastardo in faccia …(incomprensibile…)…quel cornuto di Sanna…lo devo sparare in testa ..lo devo sparare …mo gli devo accendere la macchina mo……mo gli devo prendere la cosa……..la CMAX grigia che tiene….”
Per il pm, “questa conversazione fa presagire altri nefasti propositi nei confronti dell’Ispettore Capo, come l’intenzione di incendiare l’autovettura a lui in uso, di cui aveva piena contezza del modello, marca, colore. Non vi è dubbio che l’intenzione omicida è seria atteso che viene descritto l’autoveicolo usato (indice di una attività di osservazione nei confronti dell’ispettore Sanna)”.
Una gioielleria nel mirino
Gli arrestati Carlo Verderosa, Giuseppe Albanese, Francesco Abbruzzese, Massimo Perdonò e Alessandro Moretti sono finiti nel mirino degli inquirenti anche perché, in concorso tra loro, hanno compiuto “atti diretti in modo non equivoco a sottrarre con violenza e minaccia (utilizzando armi da fuoco), i gioielli della“Gienneffe Gioielli” di Foggia, senza riuscire nell’intento criminoso per cause indipendenti dalla loro volontà”. Hanno pianificato la rapina verificando le modalità operative, predisponendo appostamenti e verifiche sullo stato dei luoghi e procurandosi armi.
A questo riguardo è palese l’assoluta spregiudicatezza nell’utilizzo – anche a fini di prova – di pistole e fucili come anche il dinamismo e la facilità con cui, in pieno centro urbano, vengono poste in essere operazioni di trasporto, scambio e cessione di armi e munizioni. La rapina in gioielleria, pronta per essere compiuta il 18 gennaio scorso, è saltata grazie a servizi preventivi degli investigatori che, grazie alle intercettazioni, hanno scoperto e sventato il colpo da parte dei malavitosi.
Nel clan qualcuno non si impegna e va punito
“Il clan – si legge nell’ordinanza -, vista la detenzione dei “grandi capi”, intendeva riorganizzarsi. In particolar modo Abbruzzese diceva che una persona doveva iniziare a “pulire” (riferendosi a Vito Lanza, il responsabile attuale dell’organizzazione criminale) e che questi voleva iniziare estromettendo Francuccio (Francesco Tizzano) che a loro modo non si impegnava abbastanza.
Circolando in auto, i due (Abbruzzese e Moretti) tenevano sotto controllo le abitudini dei sodali. Criticavano anche Verderosa dicendo che stava sempre nel giardino (retro dell’abitazione di Lanza) a chiacchierare e a decidere strategie da attuare.
I due dicevano che adesso gli avrebbero fatto vedere loro “la strategia” quale era in quanto volevano dare meno soldi ad alcuni facendoli rimanere “senza sciroppo”, anche perché si sentivano derubati dal fatto che loro si prodigavano per le fortune del clan, mentre altri facevano molto meno.
Il discorso tra i due in macchina continuava sempre sull’andamento dell’organizzazione criminale e sulla suddivisione del denaro che a loro modo di vedere non era equa”.
Il furto della Fiat Uno “toca”
Moretti e Abbruzzese non disdegnavano di rubare i veicoli che potevano essere utili per portare a termine i compiti che venivano loro assegnati dai responsabili dell’organizzazione mafiosa a cui appartengono.
In macchina ci sono Abbruzzese, Moretti Alessandro e tale Mario. I tre si fermano in viale Giotto.
Alessandro: Oh…sta Fiat Uno è buonarella… Franco: Quale è…vediamo…
Alessandro: La vedi…
Franco: Quale è…
Alessandro: quella oh Franco…questa…la vedi…la nera..
Franco: Ma quanto è “toca” (buona in dialetto foggiano)…devi vedere che tiene…
Alessandro: Aspetta…chitèmurt’…(si sente che Alessandro scende dalla macchina in quanto si aprono e si chiudono diversi sportelli)
Franco: Minimo tiene due antifurti…serve una macchina che dobbiamo andare a prendere l’agnello…
Mario: esce qualche cosa a me Francuccio…
Franco: Hai voglia…
Mario: Si è già ficcato da dentro quel chitemurt’….
Franco:…incomp…
Mario: Si…mamma è un bastardo…(ride)…
Franco:…Vedi se la mette in moto…
Mario: Eh mò…aspetta…non si vede…fai il giro…passa davanti…fai il giro…un poco di agnelluzzo a me… Franco:…incomp…
Mario: Devo riempiere il frigorifero…Francuccio…vedi se l’è portata mi sa…vedi se ne è andato…(ride)… Franco:…Se ne è andato…
Mario: Se ne è andato quel bastardo…(ride)…povero vecchiarello…chissa di chi è…quel bastardo…(ride)… L’autovettura inizia a marciare ad alta velocità e si sentono forti rumori ambientali e la radio in sottofondo. Mario: Mo è andato dritto…vedi..vedi…(si sente suonare il clacson)…
Franco. Domani ci serve…
Mario: Vedi che sta bene anche se la metti dalla via di casa…non viene nessuno la…non viene mai nel mio cortile…non viene mai nel mio cortile…
L’autovettura si ferma in via Nedo Nadi. Mario si rivolge ad Alessandro che sta fuori dal veicolo a bordo della macchina rubata.
Mario: Oh perchè non la metti nel cortile di casa perchè la squadra mobile non viene mai… ancora la trovano…
Alessandro: No…non la trovano…
Mario: E mè…mettila qua…
Franco: No…qua la trovano…
Mario: Qua vengono Alessandro…
Franco: Quattro infamoni..
Mario: La..la…la…hai capito…la non sa niente nessuno…
Franco: Alessandro sta accesa una spia…un triangolino…perchè…
Alessandro:E’ la luce…
Franco: Me andiamocene…vai nel cortile di casa…
Mario: Secondo me…poi…
Alessandro: Tutto a posto…
Franco: Fai paura con la Fiat Uno compare…
Mario: Non funziona la luce nel contachilometri…la devi far fare…che stanno le sigarette da dentro Alessandro…non ci stanno le sigarette…me oh vieni dietro a me…hai capito la è tranquillo…come è qua vengono…qua è il primo posto che vengono…poi qua li conoscono già…e fess’ dove l’ha messa…
Mario e Franco rimangono in macchina e continuano a parlare del furto dell’autovettura e di dove è meglio nasconderla. Alessandro sta nell’auto rubata. Entrambi i veicoli stanno circolando. Giunti dalle parti di via Settembrini archeggiano l’autovettura rubata.
Mario: Non passano nai qua Franco…
Franco: E’ meglio qua….
Dopo aver parcheggiato la Fiat Uno rubata, Alessandro Moretti risale in macchina e proseguono a circolare.
L’agguato a “zio Vito” e la microspia negli Ospedali Riuniti
Vito Bruno Lanza, nuovo capo del clan Moretti-Pellegrino-Lanza è scampato ad un agguato nell’ottobre scorso. Le indagini espletate dopo il tentato omicidio sono la prova lampante dell’esistenza dell’organizzazione mafiosa.
“Lanza – scrive il pm -, dopo il suo ferimento, per un breve periodo risultava ricoverato in sala di rianimazione e subito dopo veniva trasferito nel reparto di neurochirurgia. All’interno della stanza dove veniva allocato, gli inquirenti hanno installato una microspia che ha consentito di intercettare le conversazioni che l’uomo intratteneva con le persone che si recavano a fargli visita.
Per alcuni giorni, Lanza ha condiviso la degenza nel reparto con Piscopia, ferito in un agguato pochi giorni prima su via Manfredonia.
Piscopia si recava sovente nella stanza dove si trovava Lanza, il quale a causa delle ferite ricevute era immobilizzato a letto ed i due in più occasioni discutevano di quanto loro occorso. In una conversazione ambientale, alla quale partecipavano anche alcune donne, Piscopia faceva notare a Lanza che entrambi erano stati feriti con una pistola calibro 7,65 ed ora si attendeva l’esito della comparazione balistica.
Lanza riferiva che non si aspettava di essere sparato dalle persone arrestate (Biscotti e Spinelli), in quanto queste persone quando lo vedevano lo salutavano pure. Piscopia e Lanza si incontravano diverse volte il 22 ottobre scorso per parlare dell’accaduto e cercavano vanamente di darsi una spiegazione sulla circostanza che erano stati feriti, tenendo presente che loro non avevano fatto niente di male e si facevano i fatti loro.
Le conversazioni tra i due proseguivano anche alla presenza di alcuni loro parenti e Piscopia accusava coloro i quali l’avevano sparato di volere la gloria, senza pensare che anche loro hanno una famiglia. Il giorno dopo Piscopia si recava nuovamente nella stanza di Lanza e discutevano delle modalità di come era arrivata la polizia ad arrestare gli attentatori di Lanza.
Piscopia si diceva certo che adesso ai due sarebbe arrivata anche un’ordinanza custodiale per l’attentato nei suoi confronti, in quanto riteneva, evidentemente, Spinelli e Biscotti gli autori dell’agguato nei suoi confronti. Deduzione non supportata da alcun atto di indagine effettuato”.
Tutti, però, comprese le conviventi, stando alle intercettazioni in ospedale, erano ben consapevoli che gli attentati ai danni di Lanza e Piscopia erano una vera e propria dichiarazione di guerra da parte del clan avverso all’organizzazione criminale.
Come si evince da una telefonata, le donne del clan, nel commentare l’agguato a “zio Vito” asserivano che le stesse persone dopo aver sparato a Piscopia avevano attentato alla vita di Lanza.
“Sappiamo chi è il mandante: Capacchione”
“Ritornando a parlare della conversazione ambientale intercettata – aggiunge il sostituto procuratore – è importante evidenziare che Piscopia riferiva che adesso doveva uscire anche il nome di chi era il mandante degli agguati e a tal proposito Lanza riferiva testualmente: “Chi li doveva mandare…”, mostrandosi perfettamente a conoscenza del mandante dell’agguato, che presumibilmente identificava in Roberto Sinesi, anche in virtù dell’identità degli autori dell’agguato, ritenuti inequivocabilmente appartenenti al clan rivale dei Sinesi-Francavilla.
Lanza faceva presente a Piscopia che lo erano anche andati “a palleggiare”, nel senso che avevano cercato di trarlo in inganno quando erano andati a trovarlo. (Lanza si riferiva all’episodio in cui Biscotti e Cupo erano andati a casa di Piscopia).
Lanza, verso la fine del brano sopra riportato, diceva: “Ci devono pensare loro mo”, significando che gli appartenenti al clan avverso potevano attendersi anche una vendetta e che lui era disposto anche ad andare personalmente a casa loro. Tale concetto veniva espresso nella seguente frase: “Vado a casa loro, specialmente di quello con la testa grande”. Lanza, nell’indicare quello con la “testa grande” intendeva riferirsi senza ombra di dubbio a Sinesi che come emerso in passato era indicato dai sodali con l’alias “Capacchione”, persona che evidentemente riteneva coinvolta per quanto occorso ai suoi danni”.
Lanza, riferendosi all’agguato subito da Piscopia, riferiva che l’intenzione di chi li aveva colpiti era di spegnere prima il fuoco (ossia eliminare Piscopia ritenuto esponente di primo piano della batteria di fuoco del clan Moretti) e poi attaccare il vertice dell’organizzazione, in considerazione dell’attuale detenzione dei grandi capi.
“Quanto appena riferito da Lanza – scrive il pm – consacra definitivamente l’esistenza di un clan di cui i due ne fanno pienamente parte”.
Mille euro al mese
“Dalle conversazioni ambientali si constata che Moretti e Abbruzzese, il 17 gennaio 2015, giravano all’interno di un’autovettura con cospicue somme di denaro che provvedevano a distribuire tra i sodali, conteggiando in maniera oculata il denaro che avevano a disposizione.
Dal contenuto della conversazione si evince che una parte di denaro Moretti doveva darla “allo zio” (probabilmente Rocco Moretti, zio paterno di Alessandro e percepiva, così come emerge dalla conversazione, 1.000 euro somma uguale a quella ricevuta dallo stesso nipote).
Come evidenziato, quindi, i sodali dell’organizzazione percepivano uno stipendio con il quale potevano soddisfare le loro esigenze personali e familiari quando erano liberi.
Inoltre, gli stessi appartenenti al clan, quando venivano arrestati, godevano di uno stipendio che gli veniva corrisposto in carcere (ovviamente tramite loro familiari), nonché sostegno economico per pagare le spese legali”.
“Se vado in galera nessuno mi pensa”
Infine c’è la questione estorsioni, principale business del clan. Ebbene, in questa conversazione, Moretti confidava alla sua amante che lui andava nei cantieri dove stavano costruendo i palazzi e dopo aver fatto dei semplici conti matematici, richiedeva al costruttore edile la somma a titolo estorsivo di 300.000,00 euro, oppure un appartamento al posto dei soldi.
A proposito di tale conversazione – sottolinea il pm – è importante porre in evidenza che la somma di 300.000,00 euro è stata richiesta ad alcuni imprenditori vittime di estorsione.
Moretti Alessandro: che ne sò…lo sai quanti ne vengono da me e dicono: Alessandro vedi…vai la, vai la…mi danno le cose….vado la diciamo…la pensione la vado a ritirare il 30 mi da i soldi e li togli…hai capito? però non mi piace quelle cose la.. davvero….e più roba…di che ne sò…fai un palazzo…dico: dacci per dire…quando fai…è inutile che ci giriamo intorno…io capisco roba di matematica e cose…che sono per dire 3 milioni…mi devi dare 300 mila euro, mi devi dare un appartamento…mi devi dare quello….no, girare intorno…mi dai questo…ti dò il “TENNIS”…ti compro la macchina nuova…no, no, questi mi devi dare…glielo dico…..glielo dico….eh..
L’amante: incomprensibile..
Moretti Alessandro:no, ci sono gli altri per esempio che tu mi compri uno di questi qua…e te ne fanno andare….come si dice…ti accontenti…no…io no, perchè io quando vado in galera a me nessuno mi accontenta…anzi è peggio..
L’amante:..incomprensibile..
Moretti Alessandro: è peggio…non mi accontento di…eh
Poi la conversazione continua a carattere confidenziale.