“La Capitanata deve puntare all’Europa per il salto di qualità nello sviluppo economico”. Ne sono convinti al Dare, il distretto agroalimentare, che oggi ha informato gli stakeholders sulle opportunità dell'”Obiettivo 2020″. Detto in soldoni, miliardi di euro investiti da Bruxelles per lo sviluppo delle imprese. E se poi nel novero sono particolarmente considerate le piccole realtà (magari riunite in un consorzio), allora la questione si fa interessante.
“Abbiamo messo a disposizione uno sportello – ha spiegato il direttore Antonio Pepe – per fornire alle imprese la giusta assistenza, perché non è semplice partecipare a bandi europei. Con l’Università di Foggia, poi, cerchiamo di formare i giovani studenti nelle competenze che non vengono fornite durante i regolari corsi di studio, a cominciare dalla capacità di lavorare in cooperazione”. Le due anime, infatti, come sottolineato dal presidente della commissione Agroalimentare di Confindustria, Alessandro Masiello, devono per forza dialogare: “Stiamo cercando di favorire la relazione tra domanda ed offerta di lavoro specializzata, facendo leva su programmi ad hoc, come Garanzia Giovani. Questa è la giusta strada per far crescere la nostra economia, attraverso l’internalizzazione commerciale e delle competenze”. Il budget messo a disposizione dall’Ue nei tre programmi previsti – ricerca di base, sviluppo industriale e cambiamenti sociali – è di 80 miliardi di euro. Risorse che vengono destinate ogni due anni attraverso bandi pubblicati solitamente a luglio.
“Finora – spiega la referente del programma, Francesca Volpe – sono stati stanziati circa 15 milioni di euro per il primo anno”. Tra i filoni di finanziamenti proposti a Bruxelles, quello più interessante è senza dubbio “Sme instrument”, finalizzato proprio all’innovazione delle Pmi. “La provincia di Foggia può cogliere molte opportunità – continua Volpe -, sono disponibili ben 500 milioni di euro per il 2014-2015. Certo, non è facile arrivare al finanziamento, ma vale la pena provarci, perché la copertura è del 100% per i nuovi prodotti e servizi innovativi”.
A maggior ragione visto che ad essere ammesso è anche la fase di progettazione, il business plan, documento di una decina di pagine da realizzare in 6 mesi, per il quale vengono messi a disposizione 50mila euro. Passata la prima fase, si passa all’eventuale sviluppo, dal quale può scaturire la miniaturizzazione e replicazione del prodotto: per questo step il finanziamento è del 70 per cento, con una copertura che può variare da 500mila euro a 2,5 milioni, in un lasso temporale di 12-24 mesi. L'”accompagnamento” a chi ce la fa continua poi fino alla commercializzazione del prodotto. Dalle proiezioni, per la prima fase potranno essere finanziate 51o proposte per un totale di 29 milioni di euro. Nella seconda, ben 160 con un importo di 230 milioni di euro.
“L’Italia è già il primo paese per progetti presentati – conclude Volpe -, in quasi tutti i settori interessati: acquacoltura, biotecnologia, trasporti, nanotecnologie, nuovi materiali (manifatturiero avanzato), cure personali, sostenibilità delle risorse (recupero scarti) e dell’ambiente. Di quelle che passano la valutazione però, soltanto la metà viene realmente finanziata, con una media di 100 milioni l’anno”. I più coraggiosi – armati ci competenze: le domande vengono redatte in inglese – possono farsi avanti. Ma devono farlo in fretta: la prima scadenza è il 29 aprile prossimo.