Nella relazione annuale svolta dal procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, e dalla Direzione nazionale antimafia (Dna), i magistrati hanno ricostruito la mappa delle organizzazioni criminali in Italia puntando ad aggiornare e comprendere meglio come le varie organizzazioni mafiose, sia quelle tradizionali (Cosa nostra, Camorra, ‘ndrangheta, Sacra corona unita e criminalità organizzata pugliese), sia quelle di matrice straniera, si siano strutturate sul territorio.
Riguardo la mafia foggiana la Dna evidenzia “come stia vivendo un processo di trasformazione qualitativa. Si rafforzano i rapporti di collaborazione e di mutualità tra la “mafia della pianura” (area di Foggia città) e la “mafia dei montanari” (area garganica). Inoltre, si è instaurato un rapporto molto saldo tra mafia foggiana e mafia casertana (clan dei Casalesi), soprattutto grazie al traffico dei rifiuti che getta una luce inquietante sulla risalenza delle attività illecite e, soprattutto, sul reale quantitativo dei rifiuti speciali smaltiti nel tempo, in siti attualmente di difficile identificazione”.
Ma la Dna ha sancito una forte infiltrazione della mafia foggiana “anche nelle maggiori attività amministrative ed economiche (aziende municipalizzate, aziende vitivinicole, settore turistico alberghiero, settore movimento terra ed energie rinnovabili)”.
Il patto di non belligeranza
Si conferma nella città di Foggia la situazione di pacifica convivenza tra le diverse “batterie” (aggregazioni personali più ristrette di cui si compone la “Società foggiana”). Questa situazione – che apparentemente potrebbe essere interpretata come una situazione di stallo determinata dall’indebolimento della composizione personale e patrimoniale, a causa delle carcerazioni e delle contestuali ablazioni patrimoniali, conseguenti alla incessante ed efficace azione di contrasto attuata dalla DDA di Bari, ma anche degli omicidi di alcune delle figure verticistiche e carismatiche delle diverse associazioni – è frutto di una meditata strategia di non belligeranza che dovrebbe indurre un abbassamento del livello di attenzione da parte delle locali forze di polizia, sui lucrosi interessi, criminali e non, della “Società foggiana”, con progressiva infiltrazione nelle attività economiche e politico-amministrative del territorio.
La “mafia degli affari”
Il persistente equilibrio e pacificazione tra le diverse “batterie” deve interpretarsi come una espressione del processo evolutivo in atto, che proietta la mafia foggiana verso il più moderno modello di “mafia degli affari” (l’operazione ”Baccus” fotografò l’infiltrazione mafiosa nel settore vitivinicolo e i legami intrecciati con un’importante azienda del Nord Italia strumentali a riciclare denaro sporco) – assolutamente conforme all’evoluzione del modello attuale di mafia – e che conferma la capacità della mafia foggiana di programmare e attuare strategie con serietà e disciplina. Insomma, una mafia con caratteristiche di solida strutturazione che la rendono impenetrabile, pericolosa e profondamente diversa dalla contigua mafia barese.
“Riguardo i collaboratori di giustizia – si legge sulla relazione -, si segnala l’importante apporto della recente collaborazione di una donna, già coniuge di uno dei più potenti capo clan del territorio. Va evidenziato che se pur la situazione di equilibrio “interno” ha determinato un decremento degli omicidi di mafia, non si è sicuramente allentata la “pressione” della presenza mafiosa sul territorio, esercitata dalle giovani leve (operazione Malavita) attraverso pressanti estorsioni ai danni di commercianti e imprenditori con l’evidente e duplice scopo di incrementare le ormai depauperate risorse economiche dei clan (onerati anche dal mantenimento dei detenuti e delle loro famiglie) nonché di non allentare la morsa di intimidazione indotta sulla popolazione locale”.
E ancora: “Il muro di omertà con il quale quotidianamente si confrontano le forze di polizia e la Magistratura, sembrano confermare l’efficacia della strategia della mafia foggiana: basti pensare che nel processo “Corona” è mancata persino la denuncia degli imprenditori vittime delle estorsioni“.
I magistrati: “Comune si costituisca parte civile nei processi”
“Sarebbe auspicabile – scrivono i magistrati della Dna – che l’impegno della Magistratura e delle forze di polizia fosse supportato da una maggiore sinergia da parte della collettività civile e dalle forze politiche del territorio, indispensabile per infrangere l’omertà e l’intimidazione imposte dai clan. Sul versante della società civile – continuano – alcuni segnali importanti sono stati dati con la costituzione di una associazione antiracket a Foggia, intitolata a Giovanni Panunzio, imprenditore ucciso dalla mafia, nonché con la costituzione di parte civile della Camera di Commercio nel processo “Corona”. Un atto simbolico e importante, sino ad oggi non esercitato – concludono dalla Dna – potrebbe essere la costituzione di parte civile dell’amministrazione comunale nei più importanti processi di mafia”.